Diritto, legislazione, libertà: la lezione di von Hayek anche per l’oggi

Nel maggio del 1986 comparve la prima edizione italiana di Legge, legislazione e libertà, “il capolavoro dell’operosa vecchiaia di Friedrich August von Hayek, economista e filosofo, intellettuale tra i maggiori del XX secolo”, come scrissero Angelo M. Petroni e Stefano Monti Bragadin nell’Introduzione. Lo presentai alla Fondazione Dragan di Roma nel novembre dello stesso anno e lo recensii sulla rivista “Diritto e società”, numero 4/1987. Nel 1969 era uscito in italiano il capolavoro della maturità di Hayek La società libera con la Presentazione di Sergio Ricossa: libro che, considerato “una Bibbia del liberalismo”, è stato da ultimo pubblicato nel 2007/2011 con la Prefazione di Lorenzo Infantino, che vi accluse le Prefazioni di Ricossa alle edizioni del 1969 e del 1998. L’edizione del 1969 finì direttamente nei Remainders books, dove acquistai le copie disponibili per regalarle a chi potesse apprezzarle o dovesse conoscerle. Lo dico per rimarcare che Hayek, nonostante la grandezza e la fama, era pressoché sconosciuto e quasi del tutto rifiutato in Italia, nei piani alti e bassi della cultura accademica e no, esclusivamente a motivo del suo cristallino liberalismo classico, che aveva arricchito e precisato, diventandone una colonna portante.

Quest’anno, autunno 2022, Legge, legislazione e libertà (ma con il titolo esatto Diritto, legislazione e libertà) vede nuovamente la luce con la Prefazione di Lorenzo Infantino e la Postfazione di Pier Giuseppe Monateri, che ne è il traduttore come dell’edizione del 1986 (Editore “Società Aperta”, pagine 702, 30 euro). Nella Prefazione, Infantino traccia un’essenziale ma profonda sintesi di alcuni dei temi principali (in quantità straordinaria) che Hayek analizza e sviluppa nei tre volumi che compongono l’opera: “Regole e ordine”, “Il miraggio della giustizia sociale”, “Il sistema politico di un popolo libero”. A sua volta, Monateri nella Postfazione spiega con meticolosa precisione i complessi rapporti che intercorrono tra i nomi e i significati dei termini giuridici ricorrenti nell’opera a partire dal titolo, per esempio: legge, diritto, consuetudine, costumi, regole di giusta condotta, legiferazione, giurisprudenza. Ciascun volume costituisce il precipitato, per così dire, dell’imponente ricerca economica, filosofica, politica dell’Autore. Hayek, Friedman e Mises costituiscono la triade del liberalismo classico nel Novecento, come Smith, Hume e Mandeville lo furono nel Settecento, plasmando la dottrina della libertà. Si tratta di giganti ai quali il devastante tsunami del socialismo, pur imperversando oltre un secolo nelle sue perniciose varianti teoriche e pratiche, non ha potuto né abbattere né scalfire.

Il pensiero di Hayek non è di quelli da leggere e rimuginare in tram. Ma neppure da respingere perché difficile o, peggio, incomprensibile. Ogni cercatore di libertà, ogni individuo, men che farsene spaventare, deve seguirne la traccia intellettuale e morale se vorrà capire l’essenza della società libera. Egli ha scritto anche libri dalla complessità specialistica che nel 1974 gli valsero il premio Nobel per l’economia. Ma è un grande economista proprio perché non è soltanto economista. Balza agli occhi del lettore la sua straordinaria erudizione, trama e ordito di un pensiero complesso, coerente, argomentato, eppure limpido, profondo, compatto, che ammonisce a riguardare la società come “un ordine che tutti contribuiamo a determinare, ma che non è intenzionalmente costruito da alcuno di noi… (dove) le nostre intenzioni o le nostre finalità personali non hanno alcuna importanza” (Infantino).

Hayek dimostra con rigore socratico perché e come la libertà sia indispensabile, purché non sia stato stabilito da un’autorità superiore a cosa debba specificatamente servire. “La differenza tra la libertà e le libertà è quella che c’è fra una condizione nella quale quanto non è proibito da norme generali è permesso, e una in cui è proibito quanto non è esplicitamente permesso” (Hayek).

La libertà consente agli individui di cooperare volontariamente per i loro scopi, che nessuno può conoscere. “La vita è concepita come una doppia serie di infinite varietà. Da un lato, l’infinita varietà degli individui; dall’altro, l’infinita varietà delle occasioni. La libertà aumenta la probabilità di trovare la migliore combinazione di quelli con queste. Siamo lontanissimi dalla visione semplificata e semplicistica della vita, cara ai costruttori di modelli economici e sociali, spesso null’altro che giocattoli culturali” (Ricossa).

L’itinerario logico del libro, dei tre volumi che lo compongono, rappresenta una costruzione intellettuale di natura piramidale. Hayek dimostra che la libertà non è un frutto naturale ma un prodotto dell’evoluzione umana. I prodotti culturali della civilizzazione, causa ed effetti della libertà, come la proprietà, la lingua, il diritto, la moneta, emergono di pari passo nel processo di selezione sociale delle istituzioni umane, che non appartengono né all’ordine naturale (la rotazione terrestre) né all’ordine artificiale (l’automobile), ma al terzo ordine loro proprio. Sono fenomeni ordinati ma non necessitati; regolari ma non programmati. Hayek precisa che non l’evoluzionismo ha tratto dal darwinismo il concetto di selezione, bensì l’opposto. Tant’è che i maggiori filosofi inglesi del Settecento sono considerati “darwinisti prima di Darwin”. La funzionalità sociale delle istituzioni viene attestata dal loro vaglio storico.

Hayek sviluppa una devastate critica della cosiddetta giustizia sociale, esattamente definita un miraggio, nell’inseguire il quale la democrazia moderna, grazie all’onnipotenza dei parlamenti, ha eroso la libertà e distorto il governo rappresentativo. Incidentalmente Hayek ricorda che l’espressione giustizia sociale sembra essere stata usata la prima volta nel suo senso moderno da Luigi Taparelli d’Azeglio e diffusa da Antonio Rosmini nel 1848-49. In proposito bisogna adoperare parole che, al giorno d’oggi, specialmente in Italia, suonano blasfeme ma sono verità. Non esistono argomenti per negare che la giustizia sociale è propriamente una giustizia immorale perché fondata sulla politica anziché sul diritto. In soldoni, giustizia sociale serve a dire voglio (tutto) quello che hai tu perché tu hai (tutto) quello che io non ho. Inoltre, la giustizia sociale non è né giusta né sociale perché viola la base morale e giuridica della libertà politica, cioè l’isonomia, uguaglianza nella legge, e quindi la democrazia che ne è la figlia. Il potere politico, con l’intento di perseguire l’uguaglianza di fatto mediante la giustizia sociale, non fa che introdurre nuove forme di disuguaglianza giuridica. La giustizia sociale è priva di significato, non esprime che una vaga buona volontà verso i meno favoriti. Tutto il Medio Evo si è posto inutilmente il problema di tentare d’individuare un criterio di giustizia fuori dal mercato. Ma all’infuori del mercato, giusto prezzo e giusto salario sono indeterminabili; di più, sono inconcepibili. La giustizia sociale “è un mezzo comodo per i politici per crearsi delle maggioranze” (Hayek). I governi non “ricevono” la fiducia dai parlamenti ma la comprano con pretestuose misure di giustizia sociale, inseguendo gli elettori che li inseguono. “Anche se tutti credessero alle streghe o ai fantasmi, ciò non significherebbe che essi realmente esistano; nell’ottica di Hayek, il termine “giustizia sociale” non differisce da “strega”: indica qualcosa che non esiste” (E. Butler, 1986).

Giustizia, Libertà, Diritto, la triarchia del liberalismo, sono sviscerati da Hayek con insuperabile acribia, come unità complessa e nelle reciproche relazioni. E mostra da par suo come essi emergano dall’ordine spontaneo e dalla cooperazione volontaria; vengano adulterati, piegati, conculcati da governanti benintenzionati, nella migliore ipotesi; debbano e possano essere preservati incidendo profondamente sull’assetto della democrazia rappresentativa, della quale il costituzionalismo moderno non è riuscito a preservare l’essenza genuina. L’antiutopista Hayek non fa concessioni all’utopia. Il suo scopo non è offrire una costituzione di pronta applicazione. Il valore del suo modello ideale sta nel proporre un originale meccanismo tendente a separare nuovamente quei poteri, che il costituzionalismo cercò di dividere e gli sviluppi dello Stato contemporaneo hanno concentrato in istituzioni formalmente differenti ma sostanzialmente identiche; non distinte, ma unite. Il meccanismo proposto costituisce la più originale, radicale, realmente innovativa reinterpretazione costituzionale della separazione dei poteri. Come spezzare il circolo vizioso che concentra nel complesso Parlamento-governo (così preferisco chiamarlo per rendere l’idea di Hayek) i poteri normativi e amministrativi e, attraverso la legiferazione, mescola norme del diritto con regole di organizzazione, praticamente consegnando nelle mani degli stessi uomini poteri legislativi ed esecutivi, sulla cui separazione poggia la libertà? Nessuno dei moderni costituzionalisti, né dei pensatori in genere, ha saputo abbozzare una risposta, men che meno gl’improvvisati “neocostituenti” italiani che hanno proposto ben altre riforme della Costituzione, pur considerandola “la più bella del mondo”.

In risposta a tale domanda e per conseguire tale scopo Hayek ha concepito un’assemblea rappresentativa che i cittadini dovrebbero eleggere votando una sola volta nella vita, per esempio a quarantacinque anni. Gli eletti dai quarantacinquenni tra i quarantacinquenni resterebbero in carica quindici anni. L’assemblea elettiva sarebbe così composta da persone comprese tra quarantacinque e sessanta anni. Un quindicesimo dei rappresentanti verrebbe sostituito ogni anno. All’assemblea rappresentativa dovrebbe essere attribuita una funzione puramente normativa, avrebbe cioè l’esclusivo potere di mutare il nomos fondamentale, apportando le necessarie correzioni delle norme di vero diritto generali ed astratte, per esempio il diritto privato e penale. Essa sarebbe nettamente distinta dall’assemblea rappresentativa governativa, la quale somiglierebbe moltissimo agli attuali parlamenti. Questo sistema sottrarrebbe gli eletti a molti condizionamenti politici, anteriori e successivi all’elezione. Costoro non avrebbero nulla da temere o sperare perché non sarebbero rieleggibili. Inoltre, affiderebbe mediamente la normazione, il diritto, a uomini maturi, esperti, affermati. Sulle spalle di tale Gigante et si parva licet… non mi stanco di ripetere in ogni occasione, sperando che governanti e costituenti italiani ascoltino: “Non esiste separazione dei poteri senza separazione degli uomini di potere” (L’ideologia italiana, Liberilibri, 2016, pagina 74).

Hayek fa suo l’insegnamento di Machiavelli: “È necessario a chi dispone una repubblica ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei”. E di Hume: “Gli scrittori politici hanno stabilito come una massima che, nell’escogitare qualunque sistema di governo, e nel fissare i molti limiti e controlli della Costituzione, ogni uomo dovrebbe proprio essere presunto un farabutto ed avere nessun altro fine, in tutte le sue azioni, che l’interesse personale. In base a questo interesse noi dobbiamo guidarlo e, per mezzo di esso, farlo cooperare al pubblico bene nonostante la sua insaziabile avidità e ambizione. Senza ciò, essi dicono, invano ci glorieremo dei benefici di qualunque costituzione (anche della più bella del mondo, ndr) e troveremo, alla fine, che non abbiamo nessuna sicurezza per le nostre libertà e proprietà, eccetto la buona volontà dei nostri governanti; cioè non avremo nessuna sicurezza in assoluto”.

L’epilogo dell’opera, della quale questa recensione non fornisce neanche una pallida idea, possiede la solennità di un testamento spirituale. Tuttavia, Hayek non lo considera una fine, ma piuttosto un nuovo inizio, qual è per chi voglia evitare gli errori del passato.

“Se la nostra società sopravviverà, il che sarà possibile soltanto se rinuncerà a tali errori, credo che l’uomo guarderà indietro alla nostra epoca come ad un’età di superstizione, per lo più collegata ai nomi di Karl Marx e Sigmund Freud. Credo che la gente scoprirà che le idee più diffuse che hanno dominato il ventesimo secolo, quelle di un’economia pianificata con una giusta distribuzione, e della liberazione di noi stessi dalla repressione e dalla morale tradizionale, di un’educazione permissiva come via verso la libertà, e di sostituzione del mercato con un dispositivo razionale costituito da un organo con poteri coercitivi, erano tutte basate su superstizioni nel senso proprio del termine”.

Non resta dunque che auspicare un nuovo inizio anche per la diffusione di quest’opera capitale del pensiero hayekiano, quasi una summa, e sperare che l’influenza delle sue idee sulla società sia migliore del passato, anche alla luce delle dure lezioni inferte dalla Storia alle idee opposte.

(*) Friedrich August von Hayek, “Diritto, legislazione e libertà”, a cura di Lorenzo Infantino e Pier Giuseppe Monateri, Società Aperta, 702 pagine, 30 euro

Aggiornato il 20 ottobre 2022 alle ore 09:47