Una giornata particolare

Il 13 ottobre 2022 è una giornata particolare per la politica italiana. Un postfascista redento (redentosi anche dal postfascismo a cent’anni dalla marcia su Roma) viene eletto (eletto, non nominato) dal Senato della Repubblica (rappresentativo, non corporativo) a suo presidente, che è pure supplente del Presidente della Repubblica, all’occorrenza. La presidente provvisoria del Senato è una senatrice a vita scampata alla Shoah, vittima delle leggi razziali decretate dal fascismo per ingraziarsi i nazisti. La maggioranza che avrebbe dovuto eleggerlo è inciampata nell’urna. Una fazione ha defezionato. Un manipolo di antifascisti incappucciati ha riempito il vuoto del fronte. Così il presidente eletto ha potuto abbracciare la presidente uscente, subentrandole nel seggio con fiori bianchi e baci.

La scena del bacio, muta, senza shakespeariano plettro, viene recitata in attimi di silenzio imbarazzante e fiato sospeso. L’eletto e la uscente erano visibilmente contrapposti, non solo ideologicamente, per quanto con diplomatici discorsi di circostanza avessero cercato di levigare se non occultare le differenze. L’eletto, a cui non ha mai difettato il coraggio negli incontri/scontri, ha fatto titubante la mossetta di avvicinamento. Sentiva in cuor suo di dover tentare e di poter osare. Quasi al rallentatore compiva microscopici passi di avvicinamento verso la uscente, che all’evidenza non ricambiava, senza ritrarsi tuttavia. In un lampo, di scatto l’eletto ha avvicinato la uscente. Impercettibilmente l’ha tratta a sé e lievemente baciata sulle guance, infastidendola con gli occhiali, però. La riconciliazione tra le due Italie è dunque avvenuta nell’aula solenne di Palazzo Madama, parrebbe. In diretta televisiva. Con un bacio.  Ma, poi, “cos’è un bacio?” domandava a se stesso un neoeletto Cyrano in disparte tra gli scranni vuoti dell’Aula, ormai troppo grande per il Senato piccolo.

Mentre sull’alto del seggio la Grande Storia scorreva in silenzio sotto gli occhi del mondo, la piccola storia balbettava in basso nella platea del solenne emiciclo. Un vecchio senatore ferito trascinava tra i banchi l’ambizione che un tempo l’aveva sospinto, mentre adesso barcollava sotto il peso delle umiliazioni inflittegli dagli amici (camarades, nel suo amato francese) grazie a lui redenti. Rimuginava, sorretto dai compatimenti. D’autorità, aveva negato il voto del suo drappello a causa degl’insopportabili veti oppostigli, diceva, senza motivo. Nondimeno privo del potere che nel passato esercitava. Anche il linguaggio del corpo esprimeva risentimenti, non più seduttivo. “Il sole in tasca”, da sempre suo metaforico talismano, non brillava più. Aveva combattuto e perso per una ministra in più. Forse, per una minestra.

Aggiornato il 16 ottobre 2022 alle ore 08:48