Centrodestra: male la prima

La prima volta del centrodestra al Senato non è stata la festa con i fuochi d’artificio che ci si attendeva. Alla presidenza della “Camera Alta” è stato eletto Ignazio La Russa, fondatore di Fratelli d’Italia e sodale di Giorgia Meloni. Obiettivo centrato. Peccato che la nuova maggioranza si sia spaccata e vi sia stato bisogno del soccorso dei “franchi spingitori” venuti dalle fila dell’opposizione a dare al candidato di Fratelli d’Italia il numero di voti necessari per passare. All’appello è mancata Forza Italia. Silvio Berlusconi, corroborato dal parere del suo nuovo “cerchio magico”, ha tentato la prova di forza con Giorgia Meloni decidendo di non votare il candidato indicato dall’accordo di maggioranza. Ma l’esercizio muscolare, se tale voleva essere, è fallito e la pattuglia berlusconiana ha incassato una bruciante sconfitta.

Perché non c’è stata compattezza nella coalizione alla sua prima prova? La figura politica di Ignazio La Russa non c’entra nulla con la decisione di Forza Italia di non votarlo. Non servono i retroscena per intuire che la rottura tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, intervenuta a poche ore dall’apertura dei lavori al Senato, abbia riguardato la formazione del prossimo Governo. È ipotizzabile che il leader forzista si sia sentito mortificato dall’alleata, avara nella distribuzione delle caselle ministeriali. Il gossip politico, invece, ha battuto sul tasto del veto che la Meloni avrebbe posto all’ingresso nella compagine governativa della fedelissima di Berlusconi, Licia Ronzulli. Una ricostruzione che però non convince. L’esistenza di veti interni “ad personam” metterebbe in dubbio la capacità complessiva della nuova maggioranza di essere all’altezza di corrispondere alla gravità della situazione generale del Paese. Perciò, vogliamo sperare che la Meloni non l’abbia fatto. D’altro canto, si può realmente credere a una lite tra prime donne? A un niet alla Ronzulli perché troppo appiattita, in passato, sull’oltranzismo sanitario nella guerra alla pandemia? Al desiderio della Meloni di umiliare Berlusconi colpendo la sua protetta? Sarebbe offensivo per l’intelligenza degli elettori del centrodestra pensare che anche una sola di tali ipotesi possa avere un fondamento di verità.

Il problema c’è ma non riguarda la sorte personale di Licia Ronzulli. La questione è politica. Giorgia Meloni, ancora prima che cominciasse la campagna elettorale, si era espressa per la formazione, in caso di vittoria di Fratelli d’Italia, di un Governo di centrodestra di alto profilo. La premier in pectore è pienamente consapevole dello sforzo che il futuro Esecutivo dovrà compiere nel sottrarre il Paese alla crisi economica e sociale. Per avere successo la Meloni sa che dovrà neutralizzare le azioni di disturbo mediante le quali i molti poteri ostili al centrodestra, operanti sia in Italia sia all’estero, potrebbero ostacolare il percorso già accidentato del suo Governo. Dall’eurocrazia di Bruxelles alla burocrazia nostrana, alla corporazione dei magistrati, alle lobby finanziarie che tengono a guinzaglio la gran parte dei media nel nostro Paese, ai corpi intermedi in rappresentanza dei lavoratori e del mondo produttivo. L’elenco di quelli che in economia si chiamano “stakeholder”, i “portatori d’interesse”, è talmente affollato che per la Meloni l’opposizione parlamentare della sinistra sarà l’ultimo dei problemi di cui preoccuparsi. Le mine che si intravedono già disseminate sul suo cammino danno la chiave di lettura della postura assunta dalla premier in pectore nella fase di composizione dell’Esecutivo e del programma di Governo. La sobrietà nello stile di lavoro e il comportamento rimarcato nel tessere la collaborazione con il Governo uscente di Mario Draghi risponde alla preoccupazione della Meloni di non inimicarsi la burocrazia di Bruxelles e i player finanziari che hanno tra le mani parte dei titoli del debito pubblico italiano. L’insistenza nel voler evitare di ricorrere allo scostamento di bilancio per fare fronte all’aumento del costo dell’energia per le imprese e per le famiglie tranquillizza i potenziali investitori esteri contro il rischio di un’insostenibile esplosione dell’indebitamento dell’Italia. L’insistere sull’adesione incondizionata alle scelte dell’Unione europea e della Nato in ordine al sostegno offerto all’Ucraina nella guerra contro la Russia convince gli Stati Uniti e le principali cancellerie europee circa la collocazione del nostro Paese nel quadro delle alleanze occidentali. Dichiarare la volontà di coinvolgere i corpi intermedi nelle scelte che riguarderanno il futuro degli italiani costituisce il più efficace presupposto nel contenimento della protesta sociale, destinata a manifestarsi nei prossimi mesi.

In questa cornice, caratterizzata dall’opera preventiva di sminamento dello spazio di manovra del nuovo Esecutivo, l’innesco di un rapporto conflittuale con la magistratura e con il circuito dei media sarebbe sicuramente una pietra d’inciampo. Ora, Silvio Berlusconi vuole per Forza Italia il ministero della Giustizia e la delega all’editoria. Le ragioni che spingono il vecchio leone di Arcore a porre in toni assertivi tale richiesta sono evidenti. Giorgia Meloni, dal canto suo, teme che cedere le due caselle strategiche all’“amico Silvio” potrebbe rivelarsi un boomerang. L’iniziativa di un ministro forzista alla Giustizia che mette mano a una riforma “punitiva” dell’ordimento giudiziario e manda al macero la nefanda “Legge Severino” verrebbe percepita dalla corporazione dei magistrati come un guanto di sfida lanciato in faccia al potere giudiziario. Cosa del tutto inaccettabile per le toghe. E, visto che in trent’anni di vita politica trascorsi dalla stagione di Mani pulite abbiamo imparato a conoscere di quali metodi una parte autorevole del corpo giudiziario si avvalga per rintuzzare gli assalti della politica all’intangibilità del suo potere, si comprende la ritrosia della Meloni nel lasciare spazio all’alleato forzista al Ministero di via Arenula. È la ragione pratica, non ideologica, per la quale la premier in pectore preferisce indicare prudenzialmente in quel ruolo una figura di tecnico/politico meno divisiva, per usare un eufemismo.

Stesso dicasi riguardo alla delega all’editoria. Per anni i mondi che si oppongono alla destra hanno suonato la grancassa del conflitto d’interessi del Berlusconi politico con il Berlusconi tycoon, capo e creatore di un potentissimo gruppo editoriale impegnato nella comunicazione a tutto tondo. Giorgia Meloni non vuole che i suoi sforzi e quelli della sua squadra di Governo per salvare il Paese dal disastro economico e sociale vengano offuscati dal teatrino mediatico che terrebbe i riflettori costantemente puntati sulle mosse governative in materia di telecomunicazioni. Ecco comunque spiegato il braccio di ferro con l’alleato forzista che reclama, a ragione, i suoi spazi nella compagine di Governo. Berlusconi è rimasto spiazzato dalla risolutezza della sua interlocutrice nel rifiutare, nelle trattive con gli alleati di coalizione, una metodologia che lo spirito dei tempi e le emergenze indotte dai mutamenti globali in corso hanno reso drammaticamente obsoleta. La crisi, solo parzialmente rientrata con l’elezione ieri alla presidenza della Camera dei deputati del leghista Lorenzo Fontana, grazie anche a buona parte dei voti forzisti, va risolta rapidamente e senza che nessuno degli interlocutori senta di soccombere alla prepotenza dell’altro. Ciò comporta che sia Giorgia Meloni a fare uno sforzo supplementare di comprensione delle ragioni di Forza Italia. Un compromesso che rimetta la legislatura sui giusti binari dopo la falsa partenza va trovato al più presto.

Non manca molto alla chiamata della Meloni al Quirinale per ricevere l’incarico dal presidente della Repubblica a formare il Governo della XIX legislatura. Perciò, si lasci in pace la povera Licia Ronzulli, che non sarà una Margaret Thatcher rediviva ma neppure può essere ritenuta il pomo della discordia nella crisi Berlusconi-Meloni. A meno che non si voglia cedere all’illusione, inoculata dal sommo Omero in tutte le generazioni di scolari succedutesi nei secoli, di credere che la causa della Guerra di Troia fosse stata l’amore infedele della bella Elena per Paride.

Aggiornato il 16 ottobre 2022 alle ore 08:49