Governo Meloni: insidie e opportunità

Giorgia Meloni è al lavoro sui dossier che il prossimo Governo dovrà affrontare e sulla composizione della squadra di ministri che dovrà affiancarla alla guida del Paese. Ma stia attenta a non cadere nella trappola predisposta dai suoi numerosi detrattori, annidati dentro e fuori della politica. Ai piani alti del potere Giorgia Meloni è vissuta come un male imprevisto. Le élite avrebbero preferito un esito elettorale più incerto che costringesse il Paese a subire l’ennesimo Esecutivo di unità nazionale da affidare al “tecnico della Provvidenza” di turno. Una replica del Governo Draghi senza Draghi. Progetto condiviso con la sinistra progressista che ne ha fatto la propria strategia elettorale. Da Enrico Letta al duo Calenda-Renzi a Giuseppe Conte, senza soluzione di continuità per il tutti insieme appassionatamente. Strategia perdente nelle urne, a riprova che la voglia di libertà e di democrazia si è radicata nella coscienza collettiva del popolo italiano. Questo è il motivo per cui Giorgia Meloni, piaccia o no ai “salotti buoni” del circuito politico-mediatico-finanziario, sarà capo del Governo. Tuttavia, la conquista di Palazzo Chigi per lei non sarà un pranzo di gala. Ci sarà da combattere duramente per fronteggiare uno scenario, interno e internazionale, disseminato di trappole. Eppure, tra le molte insidie non mancano le opportunità. Veniamo allo scenario. L’Unione europea è evaporata. Il vertice informale dei capi di Stato e di Governo tenutosi a Praga lo ha drammaticamente attestato.

Non c’è alcuna volontà tra i partner dell’Unione di affrontare insieme la crisi energetica in atto. Ognuno si prepara a fare da sé dopo che la Germania ha varato un piano nazionale di aiuti alle famiglie e alle imprese da 200 miliardi di euro che taglia la strada a qualsiasi iniziativa comunitaria. L’agenzia di rating Moody’s potrebbe declassare i titoli del debito sovrano dell’Italia dall’attuale Baa3 negativo a quota “spazzatura” qualora il prossimo Governo non centrasse le riforme contenute nel Pnrr. Il Fondo monetario internazionale, nell’aggiornamento delle stime del World Economic Outlook, prevede che nel 2023 il Pil dell’Italia crollerà a + 0,7 per cento, a un passo dalla recessione. Oltreoceano, il presidente statunitense Joe Biden, temendo la sconfitta alle elezioni di Midterm, dopo aver riempito l’Ucraina di armi e denaro, accenna una prima timida apertura al dialogo con il Cremlino. L’inquilino della Casa Bianca, parlando dalla residenza di James Murdoch, figlio dell’arcinoto Rupert, ha dichiarato a proposito dell’aggressione russa all’Ucraina: “È colpa di una persona che io conosco abbastanza bene, il suo nome è Vladimir Putin” ma ha aggiunto “dobbiamo capire quale può essere una via d’uscita per lui”. In Italia, il neo rivoluzionario Giuseppe Conte s’intesta la politica pacifista e chiama la piazza per rendere manifesta la protesta sociale. Il Partito democratico, impegnato nella seduta di psicoanalisi collettiva alla direzione del partito di ieri l’altro, riscopre le ragioni del negoziato dopo essere stato il più devoto assertore del sostegno militare all’Ucraina e delle sanzioni alla Russia.

Il caravanserraglio dei media organici al blocco progressista ha puntato i riflettori su Matteo Salvini raccontandolo come la spina nel fianco della premier in pectore, il parente scomodo da relegare in un angolo a causa della sua impresentabilità, la palla al piede dei “buoni leghisti” ormai stufi delle sue intemerate sovraniste. Quella vecchia volpe, mai finita in pellicceria, di Vittorio Feltri, prendendo spunto da un articolo su Libero di Alessandro Giuli, ha lanciato un appello alla Meloni perché utilizzi Silvio Berlusconi per una possibile missione diplomatica di pace alla corte dello Zar. Scrive Feltri: “Conosco Silvio da trent’anni e ho dimestichezza con la sua abilità. È una persona, piaccia o no, capace di mettere d’accordo cani e gatti, nonché l’unica in questo momento, se fosse investita di un incarico ufficiale da parte del nostro governo, in grado di intraprendere una missione diplomatica tesa a condurci sulla via della pace, la sola salvezza per l’umanità intera”. Giorgia Meloni, cosa può ricavare dal quadro tracciato? In primo luogo, può prendere atto che l’aria sul fronte globale sta cambiando. Dietro la cortina fumogena delle minacce moscovite di ricorrere all’arma atomica per chiudere la partita con Kiev si scorge la volontà del Cremlino di arrivare a uno stop del conflitto armato per far ripartire il tavolo negoziale. La mossa tattica di tenere i referendum per l’annessione delle regioni del Donbass è servita allo scopo. Mosca doveva mettere un punto fermo dal quale cominciare a trattare. E la risposta da Washington non s’è fatta attendere. Occorrerà ancora tempo ma la strada del dialogo potrà essere imboccata. Alla Meloni tocca constatare che la partita che si sta giocando ha due sole parti in campo: Gli Stati Uniti e la Federazione Russa. Per tutti gli altri, ucraini compresi, c’è solo posto in tribuna, tra gli spettatori.

Anche per l’Unione europea non c’è spazio di manovra, a causa della sua irrilevanza come soggetto geopolitico unitario. Gli Stati del Vecchio continente hanno perso l’occasione di dimostrare di essere un attore primario sullo scacchiere globale. Piccoli, litigiosi, egoisti, non hanno saputo fare squadra di fronte all’emergenza dimostrando ancora una volta che nella realtà, al netto di ogni vacua retorica, l’Europa resta una mera espressione geografica. La politica internazionale altro non è che la proiezione dei rapporti di forza tra gli attori in campo. Nessuna meraviglia se, dopo aver pagato a carissimo prezzo il costo della guerra con la Russia, all’Unione europea spetterà anche sostenere gli oneri della pace, quando ci sarà. È il destino dei deboli in un mondo governato dai forti. Il default europeo è soprattutto il fallimento delle sue leadership. Mario Draghi lo ha capito e ha fatto in modo di uscire di scena prima che gli eventi lo travolgessero. Giorgia Meloni si presenta illibata al confronto con gli altri leader non avendo avuto alcuna responsabilità nel disastro combinato dai pigmei delle cancellerie continentali. È un’occasione che deve cogliere per rivendicare un protagonismo nell’Europa che sopravviverà alle macerie della crisi russo-ucraina.

Le prossime elezioni europee, che poterebbero segnare la svolta a destra dell’Unione dopo i perniciosi anni del consociativismo popolar-socialista, non sono lontane. Si vota nel 2024. Ma per sfondare in Europa la Meloni deve vincere in Italia la partita della discontinuità rispetto ai Governi-minestrone del recente passato. Non commetta l’errore di cadere nella trappola della sinistra, a proposito dell’atteggiamento da avere nei confronti dell’alleato leghista. Nel momento in cui Giuseppe Conte prova a cavalcare la protesta sociale brandendo la tesi demagogica della connessione concettuale tra insensatezza della guerra e impoverimento degli italiani, avere al proprio fianco un compagno di strada convinto che lo scontro frontale con Putin sia stato un grave errore politico compiuto in danno del benessere e della sicurezza del Paese, potrebbe esserle di grande aiuto. Come potrebbe esserlo Silvio Berlusconi quando servirà un interlocutore affidabile per ricucire i rapporti con Vladimir Putin. Ciò che, a nostro giudizio, Giorgia Meloni non dovrà fare è di apparire “draghiana” agli occhi di quell’opinione pubblica che l’ha votata perché non lo fosse. Il “draghismo” è stata la teorizzazione della surroga della classe politica con la categoria virtuosa dei civil servants, i tecnici fintamente super partes in grado di guidare il Paese grazie alle proprie competenze specifiche ma senza legittimazione democratica. Il voto del 25 settembre ha bocciato la pratica del “Governo tecnico”.

Giorgia Meloni non commetta l’errore di zavorrare il suo Esecutivo di improbabili figure di alto profilo, estranee alla politica. Lei ribadisce che vuole dare all’Italia il miglior Governo possibile. Intento encomiabile. Ma non dimentichi la saggezza di Voltaire per il quale il meglio è nemico del bene. Gli italiani chiedono solo un buon governo, consapevoli che il nostro Paese non sia il migliore dei mondi possibili. Ciononostante, non è utopico chiedere alla politica che abbia una visione di società. E del mondo. I tedeschi la chiamano “Weltanschauung” ed è pane per la politica alta, non per il sapere parcellizzato dei “tecnici”. Provi il centrodestra a riappropriarsi di questa consapevolezza. Cominci lei, Giorgia, a fidarsi dei suoi mezzi come dei suoi alleati trattenendo per sé e per i suoi colleghi politici la titolarità dell’azione di governo in tutti i settori d’interesse della Pubblica amministrazione, a cominciare da quelli più complicati. Non se ne pentirà.

Aggiornato il 10 ottobre 2022 alle ore 10:02