Il vento nuovo del conservatorismo

A dieci giorni dalle elezioni Giorgia Meloni tace. Non ha festeggiato pubblicamente la vittoria, non si è lasciata andare a considerazioni mortificanti sugli sconfitti, non ha promesso l’impossibile una volta al Governo. Si direbbe che la sua cifra sia la sobrietà mescolata al pragmatismo. E questo, in fondo, piace agli italiani che di tromboni e palloni gonfiati della politica ne hanno piene le tasche. Non piace, però, al “circo Barnum” dei media che sui retroscena – veri o falsi che siano, fa lo stesso – e sul gossip ha costruito la sua fortuna. Come alimentare il divertissement del toto-ministri se nei “palazzi” tutti hanno le bocche cucite? Sarà per questo che i “giornaloni” e i media emanazione del caravanserraglio della cultura progressista e radical-chic sono costretti a fare di necessità virtù, dando voce alle giaculatorie antifasciste delle anime belle dello spettacolo e del varietà televisivo.

Soubrette, cantanti, ballerine dicono la loro su Fratelli d’Italia epigono del Partito Nazionale Fascista, su Benito Mussolini nonno putativo di Giorgia Meloni, sulla nascente legislatura che vestirà di orbace e stivaloni. Sono stupidaggini che servono a colmare il vuoto di idee e di visione che c’è nella loro amata, perché munifica, sinistra. D’altro canto, è cosa nota che quando non si ha cosa dire non resta che insultare il nemico. A suo modo, è anch’essa una forma di certificazione di esistenza in vita. Mettiamola giù così: l’accusa di intelligenza con le pulsioni autoritarie e fasciste, rivolta alla Meloni, è il Reddito di cittadinanza del progressismo militante. Peccato, però, che come accade all’originale anche la copia, applicata alla lotta politica, non funzioni. Sarebbe bene che i detrattori si rassegnassero all’idea che la novità portata da Fratelli d’Italia non è la restaurazione di un passato che non ritorna ma è la conquista per il Paese di un’ideologia, il conservatorismo, che nella storia repubblicana non c’è mai stata.

La novità rispetto allo standing del conservatorismo tradizionale è costituita dall’allargamento della visione conservatrice dalle élite sociali e dalle classi dominanti alle classi lavoratrici e alla media-piccola borghesia produttiva. Nel crossing-over ideologico tra la vecchia destra e quella nuova di Fratelli d’Italia si perde il tema centrale del nazionalismo a vantaggio di un europeismo temperato dalla difesa dell’interesse nazionale praticato in ottica di compatibilità con la costruzione della comune casa europea. Sotto il profilo politico, la scelta conservatrice verrà declinata nella prassi della solidarietà interclassista in luogo della non più sostenibile difesa a oltranza degli egoismi corporativi. La chiave di volta di questa nuova destra starà nell’inglobare in un impianto valoriale d’ispirazione moderata le istanze ribellistiche e contestatrici delle fasce sociali emarginate.

Tuttavia, nessuno si illuda che il partito della Meloni potrà battere la pista del movimentismo antisistema, perché la bussola di questa destra, totalmente maturata nel solco ideale e valoriale della vecchia destra missina, è orientata all’aspirazione – che fu del Movimento Sociale Italiano di Arturo Michelini – di “legittimarsi come forza di governo al di sopra di qualunque altra istanza” (Marco Tarchi). È come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corsera, il 28 marzo 2021, a proposito delle prospettive di Fratelli d’Italia: “Una destra conservatrice assai diversa dal passato, quando a essere conservatori erano innanzi tutto le élite sociali e i grandi interessi economici, oggi passati invece in tutt’altro campo. Anche se in ogni caso l’anima di una destra conservatrice non potrebbe essere rappresentata pure oggi che da una forte cultura nazional-istituzionale centrata sulla dimensione dello Stato”.

L’ascesa al Governo della nazione di Giorgia Meloni è il punto d’approdo di una lunga marcia cominciata all’indomani della fine del Secondo conflitto mondiale grazie alla quale un popolo che si pensava destinato al perpetuo esilio dall’Italia ufficiale è entrato nella Storia dalla porta principale, liberandosi di quella che Marco Tarchi ha argutamente definito la sindrome di Mosè. La nuova destra conservatrice di Fratelli d’Italia non ha ripudiato ma ha incorporato la svolta di Fiuggi di Alleanza Nazionale. E la fiamma tricolore, presente nel simbolo di partito, non è, come è stato malevolmente sostenuto, un tributo a un passato oscuro ma è l’icona che attesta il processo di evoluzione realizzato da una speciale comunità politica. Da ciò si ricava che la scelta conservatrice sia sintonizzata sulle frequenze della continuità ideale con la sua storia e non su quelle del miope tatticismo elettorale. Fratelli d’Italia ha operato un riposizionamento strategico irreversibile. La tentazione populista, posto che vi sia mai stata, non è e non sarà mai nelle corde di questa destra di Governo.

La separazione che la divide non solo dal progressismo della sinistra ma anche e soprattutto dal populismo qualunquista degli ex-grillini di Giuseppe Conte è di natura metapolitica. É ontologica. Lo ha spiegato la stessa Meloni, rompendo con un intervento denso di significato politico il silenzio autoimposto. Parlando al pubblico convenuto lo scorso sabato al Villaggio della Coldiretti a Milano, la premier in pectore ha testualmente dichiarato: “Noi non intendiamo fare tutto da soli. Io credo nei corpi intermedi, nella serietà di chi alcune materie le vive ogni giorno. La politica deve ascoltare e decidere, ma deve anche avere l’umiltà di chiedere a chi le questioni le vive nel proprio quotidiano quali possano essere le soluzioni migliori”.

Ecco, dunque, la chiave di volta della nuova destra di Governo: il definitivo abbandono della stagione della disintermediazione tra il cittadino e le istituzioni pubbliche, che ha conosciuto l’acme col trionfo prima del “rampantismo renziano” e poi del qualunquismo politico dei Cinque Stelle. Con la sconfitta elettorale del grillismo finiscono nel bidone dei rifiuti della Storia anche tutti i corollari alla perniciosa ideologia della disintermediazione: la teoria dell’“uno vale uno”, l’utopia della società orizzontale depredata dell’ordine gerarchico e ingabbiata nella prigione invisibile del web. Con questa destra si ritorna all’ascolto della “voce dei territori”, fisicamente veicolata dalla rete di relazioni che gli organismi di prossimità, non senza difficoltà, hanno mantenuto viva negli anni della centralità dell’esasperato individualismo, funzionale agli interessi di potere delle forze motrici della società “liquida” iper-consumista. Il ritorno al dialogo tra le istituzioni di Governo e i corpi intermedi, che sono il luogo d’elezione della rappresentazione della complessità sociale, è un primo segnale di svolta nella valorizzazione del primato comunitario su una dimensione atomistica della società che ha reso l’individuo schiavo delle ingannevoli categorie dei nuovi bisogni materiali.

Se tale è la premessa, aspettiamoci da questa destra di Governo davvero qualcosa di grande per il futuro dell’Italia. Nonostante gli enormi guai che ci assillano e che vanno risolti subito. Con le buone maniere, purché sia possibile.

Aggiornato il 05 ottobre 2022 alle ore 09:29