Una donna, non più giovanissima, si rivolge ai pasdaran, radunati sulle strade e armati fino ai denti per mantenere l’ordine, con una voce che intende celare la rabbia: “Scrivete, sulla vostra uniforme, assassino! Scrivete! Noi parliamo e voi uccidete. Dalla paura che avete di noi in ogni angolo vi siete ammassati, come un gregge”.
Questo accade in Iran, mentre qui non si azzardano ancora a proferire la parola “dittatura” nei riguardi di una tirannia tra le peggiori della storia dell’umanità. Nelle strade dell’Iran gli slogan “Morte al dittatore!” e “Morte a Khamenei!” gridati a costo della vita riempiono ogni angolo del Paese. Da tempo gli iraniani sanno bene il significato di “mors tua vita mea”. Perfino due ragazze, una con uno scialle calato sulla nuca che copre approssimativamente i suoi capelli e l’altra senza velo, mentre attraversano una strada piena di fumo e di macerie di una recente battaglia con le automobili che bruciano, lanciano lo slogan più proibito: “Viva Rajavi! Viva Rajavi!”. Gli iraniani, i giovani e soprattutto le ragazze guardano negli occhi il mostro e lo sfidano. La loro rabbia supera ampiamente la paura; non vogliono più una vita senza la libertà. A Karaj, una cittadina combattente a pochi chilometri dalla capitale, una ragazza di 20 anni, Hadith Najafi, mentre s’annodava la coda dei suoi biondi capelli prima di affrontare i pasdaran, è stata abbattuta dai colpi di sei proiettili.
La rivolta del popolo dell’Iran – iniziata il 15 settembre, dopo l’uccisione di Mahsa Amini – si è estesa in tutto il Paese. Mentre qui gli esperti continuano a soffermarsi sul velo delle donne iraniane, la gente ha riempito le strade ribadendo il desiderio di sempre: Libertà. E quindi la fine, senza se e senza ma, delle dittature in Iran di ogni genere. Fino a sabato 24 settembre, le manifestazioni erano estese in 139 città e in 31 delle 32 regioni iraniane. Le forze di repressione hanno ucciso almeno 140 persone, tra cui molti giovani e anche bambini, e arrestato oltre 5mila. Se nella rivolta del 2017 erano scesi in piazza i ceti meno abbienti e nella rivolta del 2019 la città di Teheran era rimasta sostanzialmente ai margini, ora la rivolta è in atto in tutto il Paese ed è organizzata e ben indirizzata: punta alla fine del regime teocratico in Iran.
A Teheran ci sono stati scontri in 21 quartieri, da Nord a Sud, tra i manifestanti ci sono almeno 1800 feriti. Le famiglie degli arrestati si sono radunate in massa di fronte al famigerato e terribile carcere di Evin per rivendicare la liberazione dei loro figli. Mentre le Unità di resistenza tentano di guidare le manifestazioni e di estenderle il più possibile, ciò che salta agli occhi è che quasi dappertutto le donne, le giovani donne, in prima fila sfidano il regime misogino e i suoi scagnozzi. Il regime teocratico nella sua disumanità usa le ambulanze per spostare le forze di repressione o trasferire gli arrestati in carcere, per accusare poi i dimostranti sia della distruzione dei mezzi di soccorso, sia della morte di alcuni dei suoi basiji.
L’attuale ministro degli Interni del regime, il pasdar Ahmad Vahidi, ha dichiarato che esistono unità o gruppi organizzati che fomentano le manifestazioni e provocano le devastazioni. A titolo di cronaca, il ministro è un ex elemento di punta della forza terroristica Qods ed è nella lista dell’Interpol su richiesta della magistratura argentina per la strage del centro Amia (Asociación mutual israelita argentina) di Buenos Aires, avvenuta il 18 luglio del 1994, dove persero la vita 85 persone. Le Unità di resistenza, di cui si lamenta il ministro terrorista, sono legate ai Mojahedin del popolo e costituiscono la nervatura della protesta. La massa dei manifestanti di questi giorni è rappresentata dai giovani, molti di essi non ancora ventenni, che non hanno conosciuto altro che questo regime, la sua propaganda e la morale oscurantista, che rifiutano d’istinto e d’intelligenza.
Mentre l’Occidente insegue il regime per strappargli una firma sul nucleare, in Iran è in atto, non da ora, un voltare pagina. E la rivolta di questi giorni lo rende evidente. Il coraggioso movimento di protesta in Iran annulla di colpo tutte le analisi farlocche e le assurde illusioni che anche in questi giorni trovano spazio in Italia non solo nelle reti televisive pubbliche. Se una volta gli Usa e l’Unione europea hanno inserito il movimento della Resistenza iraniana nella lista terrorista per aver combattuto il regime dittatoriale al potere in Iran, ora dovranno includerci tutto il popolo iraniano nella loro black list, negando il percorso della storia e calpestando i loro valori fondanti. La verità dell’Iran di oggi è che un popolo non ha più nulla da perdere, se non le sue catene!
Aggiornato il 27 settembre 2022 alle ore 09:53