La “globalizzazione” non prevede compromessi: “o esiste ed è completa, o non esiste”. Quindi, come possiamo parlare di una “globalizzazione frammentata?”. Tuttavia, proprio la frammentazione della globalizzazione può essere la causa di uno sconvolgimento del “sistema Mondo” e di una sua riorganizzazione in un Nuovo ordine mondiale.
Ma quale potrà essere questo “nuovo formato di globalizzazione” con caratteristiche sbiadite? Già dal 2019, con l’inizio della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, si era percepita una crisi nella “rete” di scambi fino a quel momento dati per scontati poi aggravata circa un anno dopo, all’inizio della “programmata” crisi sanitaria, quando la carenza di apparecchiature mediche – rese strategicamente necessarie per alcune nazioni – ha evidenziato i rischi per la sovranità industriale di diversi Paesi fortemente dipendenti da altre regioni del pianeta. Da febbraio, la crisi della geo-economia globale, causata dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ha marcato definitivamente il futuro della globalizzazione, che è diventato un tema preoccupante per tutti gli attori politici ed economici del pianeta.
Qualunque sia lo scenario una cosa è certa: si sta ripolarizzando il sistema globale, aprendo una nuova pagina della globalizzazione. Nata nei primi anni Novanta con il crollo dell’Urss (1991) e il graduale ingresso nel Wto (World trade organization) dei Paesi dell’ex blocco orientale e della Cina, oggi ha concluso il suo ciclo. Possiamo circoscrivere i suoi effetti, in questi ultimi tre decenni, in alcuni punti: l’integrazione nell’economia mondiale di un maggior numero di Paesi; una più ampia deregolamentazione e, ultimo, la rivoluzione digitale sempre più penetrante. Tutto ciò ha consentito un movimento, quasi senza confini di capitali, di individui, beni e servizi.
Ma le fratture geo-economiche di questi ultimi anni hanno costretto gli attori politici ed economici ad adattarsi all’incertezza cronica in un mondo sempre più instabile e rischioso. Le aziende hanno così riorganizzato, e stanno riorganizzando, le proprie filiere produttive, diversificando i propri fornitori e riducendo la propria dipendenza dai Paesi sanzionati. Contestualmente, la riduzione delle dipendenze sta assumendo un posto sempre più importante nelle politiche commerciali. E i governi stanno cercando di ricollocare i settori strategici, selezionare gli investimenti esteri e garantire l’approvvigionamento delle materie prime e dei beni di consumo. La guerra in Ucraina sta accelerando tutte queste dinamiche, alle quali si lega quel sistema di sotto-guerre che si manifestano con una accelerazione dell’inflazione, un rallentamento delle catene di approvvigionamento alimentare, aggravando le instabilità politiche. Inoltre, le sanzioni reciprocamente imposte dai Paesi occidentali e dalla Russia, costituiscono uno shock senza precedenti per l’economia globale. Non potendo facilmente immaginare dove potrà portare questo conflitto, il dato certo è che questa guerra dà l’estrema unzione a questi ultimi trent’anni che hanno segnato un’accelerazione della globalizzazione, aprendo il palcoscenico planetario a nuove scenografie.
Oggi potremmo ipotizzare almeno tre scenari: un “rallentamento” della globalizzazione, una “de-globalizzazione” oppure quella che ritengo la più probabile, una “frammentazione” della globalizzazione, che porti alla creazione di blocchi di Paesi aggregati su considerazioni politiche e che scambiano poco o nulla tra loro. Un ritorno della politica e della strategia verso questa forma di globalizzazione? O forse l’homo politicus che potrebbe rimpiazzare l’homo economicus? Possiamo anche chiederci: dove sta andando l’economia mondiale? Quello che pare chiaro è il disorientamento e anche l’impotenza delle “comunità internazionali” che, in questo nuovo quadro geopolitico e geo-economico, pare navighino prevalentemente a vista. Inoltre, se oggi assistiamo allo sblocco dell’esportazione dei cereali ucraini e russi, il cui il merito è soprattutto della Turchia e verifichiamo la perdita dell’egemonia occidentale in Africa, tutto ciò delinea un nuovo percorso della politica e dell’economia globale.
Va comunque considerato che la globalizzazione è uno dei sistemi più subdoli per la diffusione di forme di autoritarismo-soft e per esercitare la massima espressione del concetto “di manipolazione di massa”. La sua fine, o un suo forte ridimensionamento, porteranno giovamento alla società, magari rendendola meno dogmatica. Si è visto come la globalizzazione può essere il substrato sociologico ideale per accentrare, “in poche mani”, ogni tipo di potere: economico, politico, sanitario e, soprattutto, mediatico. Presto si compia la sua fine.
Aggiornato il 24 agosto 2022 alle ore 10:19