A Enrico Letta piace domandare. E rispondere?

Il Partito democratico perde il pelo ma non il vizio. Non ce la fa a realizzare una campagna elettorale sui temi che stanno a cuore ai cittadini. Deve buttarla in caciara, insultando e criminalizzando l’avversario politico. Enrico Letta, con sommo sprezzo del ridicolo, si è presentato alle telecamere con sguardo serioso per insinuare che Matteo Salvini e la Lega tramino con Vladimir Putin contro l’interesse nazionale italiano. Letta vuole sapere “se è stato Putin a far cadere il governo Draghi”. Ma sono domande da porre in un contesto politico minimamente serio? La provocazione non è un colpo sotto la cintola sferrato all’improvviso al capo leghista. Tutto nasce da un presunto scoop del quotidiano La Stampa, che cita documenti attribuiti all’intelligence italiana su contatti avvenuti lo scorso maggio tra Oleg Kostyukov, funzionario dell’ambasciata russa a Roma e Antonio Capuano, consigliere della Lega per i rapporti internazionali.

Nel report, l’emissario del governo russo avrebbe chiesto al suo interlocutore se i ministri della Lega fossero intenzionati a rassegnare le dimissioni dal Governo. Questa è la molecola dalla quale media di regime e sinistra sono partiti per gonfiare un castello di panna montata. Peccato che lo sbandierato scoop non sia tale. Perché l’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, il prefetto Franco Gabrielli, si è precipitato a sbugiardare il quotidiano torinese con una durissima smentita. Dichiara Gabrielli: “Le notizie apparse sul quotidiano La Stampa, circa l’attribuzione all’intelligence nazionale di asserite interlocuzioni tra l’avvocato Capuano e rappresentanti dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia, per far cadere il Governo Draghi sono prive di ogni fondamento come già riferito al Copasir, in occasione di analoghi articoli, apparsi nei mesi scorsi”. E quella fatta da La Stampa non sarebbe una rivelazione clamorosa vista la reazione di Maurizio Belpietro che spara in prima pagina de la Verità, nell’edizione di ieri l’altro, un incavolatissimo: “Notizia di quasi due mesi fa usata come un randello contro Salvini – La Stampa ruba il nostro scoop”.

Fine della storia. Invece, sia il giornale coinvolto sia il segretario del Partito democratico continuano a cavalcare la “bufala”, nella speranza di farne il fulcro della campagna elettorale dell’armata progressista. In particolare, il quotidiano La Stampa insiste nel dire che le prove ci sono. Se è così dicano da quale fonte l’hanno ottenute. Se non sono stati i nostri 007 a fornirle, quale Servizio segreto straniero si è attivato per confezionare il “pacco” rifilato a quelli del quotidiano torinese? Direttore Massimo Giannini a lei la parola. Enrico Letta prova a puntare il bersaglio grosso che non è più Matteo Salvini ma Giorgia Meloni con una domanda subdola: “Chiediamo alla candidata premier del centrodestra Giorgia Meloni se condivide di stare accanto in coalizione a un partito che ha tramato per aiutare gli interessi della Russia di Putin, che aggredisce l’Ucraina e che è contro l’Europa e contro l’Occidente”. Abbiamo sinceramente sperato in un andamento sereno di questa delicatissima campagna elettorale.

Purtroppo non è così che andrà. La tentazione, dalle parti del Pd, di buttarla in rissa per confondere le acque e disorientare gli elettori ha preso il sopravvento. Allora, se rissa deve essere ci adeguiamo. Enrico Letta è in vena di domande? Vediamo se sia altrettanto in vena di risposte. Ci dica segretario: Come la mette con la coscienza di sincero atlantista nello stare a capo di un partito di cui la maggiorparte dei dirigenti e dei militanti proviene dalle fila del Partito comunista italiano, filosovietico per ampia parte della sua storia? Come fa a celebrare Giorgio Napolitano da grande uomo di Stato e sincero atlantista, lo stesso Napolitano che, nel 1956, da dirigente comunista appoggiò l’invasione sovietica dell’Ungheria e non emise un fiato al cospetto della repressione per mano sovietica, nel 1968, della “Primavera di Praga”? Lo stesso Napolitano che alla fine degli anni Sessanta era allineato all’ortodossia filosovietica del partito nel punire gli “eretici” de Il Manifesto che invocavano per il Pci un “nuovo corso”, lontano da Mosca.

Quando il 27 novembre 1969 Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Lucio Magri vengono radiati dal Pci, a votare contro la radiazione sono Cesare Luporini, Lucio Lombardo Radice e Fabio Mussi. Il nome di Giorgio Napolitano non risulta neanche tra gli astenuti. Si obietterà: si tratta di una storia morta e sepolta, nella vita si cambia. Sarà, ma noi siamo gli stupidi dell’aforisma di James Russell Lowell, diventato un luogo comune, secondo il quale: “Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione”. Coltiviamo l’illusione che i valori fondanti di una individualità non si cancellino con una passata di spugna. Ugualmente pensiamo che un comunista resti tale, fedele al suo credo, anche quando lo dissimula fingendosi democratico e liberale. Giorgio Napolitano è stato devoto all’ideale comunista che non ha mai tradito, neanche da presidente della Repubblica. I suoi epigoni, che governano la macchina Partito democratico, sono fatti della stessa pasta. Loro nascondono, ma non rinnegano un passato segnato dalla sudditanza a un’ideologia sanguinaria e oppressiva quale fu il “socialismo reale”.

Enrico Letta che fa? Non si pone domande. Le riserva agli avversari. D’altro canto, come potrebbe puntare l’indice verso il proprio campo se il primo ad avere rapporti eccellenti con il Cremlino e con Vladimir Putin è Romano Prodi, padre dell’Ulivo e di ogni cosa si combini a sinistra da trent’anni a questa parte nonché suo mentore politico insieme a Beniamino Andreatta? Prodi, la Russia l’ha nel cuore. L’establishment russo ricambia con affetto. Nell’agosto di un anno fa, c’è stata la visita a Roma del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Costui, prima di incontrare i vertici italiani, ha avuto una lunga telefonata con Romano Prodi nel corso della quale di certo non si sono limitati a parlare del clima meteorologico nella capitale. Nella circostanza, Lavrov non ha mancato d’invitare Prodi al Cremlino per un incontro con il presidente Putin.

Fonti giornalistiche che hanno raccontato la visita italiana del ministro russo si sono soffermate sull’indiscrezione, trapelata dopo l’incontro di Lavrov con Luigi Di Maio alla Farnesina, secondo cui il potente personaggio moscovita avrebbe suggerito al giovane e inesperto collega italiano di valorizzare una personalità come Prodi di fronte alla nuova sfida per la politica estera europea. In quel momento, c’era Draghi a “Chigi” e c’era il governo di unità nazionale. Non trova, onorevole Letta, che anche questa possa essere annoverata nel computo delle ingerenze straniere negli affari di casa nostra? Provi a fare Gigi Marzullo: si faccia una domanda e si dia una risposta. E, visto che c’è, si chieda come mai, dal 2019, il Pd, insieme ai Cinque stelle, sia il partito che al Parlamento europeo ha votato il maggior numero di atti giudicati favorevoli alla Russia. Il primato lo deve condividere, a pari merito, con l’Ungheria di Viktor Orbàn.

Non lo dice Matteo Salvini ma un’indagine di VoteWatch Europe, organizzazione specializzata nell’analisi degli atti legislativi del Parlamento europeo, intitolata: Eu-Russia: latest trends among EU political parties (measurement). Segretario Letta, ci spieghi com’è che ieri l’altro alle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei deputati il suo partito, nell’ambito della discussione sulla conversione in legge del Decreto “Missioni”, non abbia votato la scheda 47/2022 che reca la proroga, per l’anno 2022, della partecipazione di 25 unità di personale del Corpo della Guardia di Finanza alla missione bilaterale di assistenza nei confronti delle istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi. Che, in parole semplici, vorrebbe dire: niente più denari ai libici per azioni di contrasto al traffico di immigrati dalle loro coste all’Italia.

In tempi normali, avremmo pensato a un cedimento ideologico del Pd alla pressione del mondo delle Ong che mira ad abbattere tutti gli ostacoli che si frappongono al libero svolgimento della loro attività di raccolta e traghettamento dell’immigrazione illegale. Ma siamo in tempi di guerra ed è noto che dall’altra parte del mare, in Libia, opera alle strette dipendenze del Governo di Mosca il Wagner Group, un’organizzazione paramilitare russa. Onorevole Letta, ci risponda: non l’ha sfiorata neppure per un attimo l’idea che togliere i denari ai libici avrebbe favorito l’interesse russo a spingere massicci flussi migratori verso il nostro Paese allo scopo di destabilizzarci? Non si chiede se una bocciatura del rifinanziamento della missione avrebbe fatto il gioco di Mosca? Credeteci, non volevamo per niente tuffarci nella polemica. Ma se dalla sinistra ci trascinano dentro per i capelli, che possiamo fare? Stare zitti e subire l’altrui arroganza? Stavolta il centrodestra, se tiene alla propria pelle, deve essere meno evangelico e più veterotestamentario. Se dalla sinistra arriva un ceffone, non bisogna porgere l’altra guancia, ma rispondere con uno sganassone.

Aggiornato il 01 agosto 2022 alle ore 09:46