Così parlò Ignazio Visco

Il Governo Draghi deve andare a casa. Ne va della salvezza degli italiani. Mario Draghi non è l’uomo della Provvidenza, come si sperava. Bisognerebbe invece definirlo l’uomo della rovina per il modo in cui sta gestendo la crisi prodotta dallo scoppio della guerra russo-ucraina. La nostra non è una richiesta generata da un pregiudizio ideologico nei confronti del Draghi “politico”. È, al contrario, una disincantata osservazione dei dati della realtà, accompagnata dall’ascolto delle analisi e delle previsioni elaborate da fonti terze qualificate a stimare gli andamenti economici e sociali del sistema-Italia. È pur vero che a essere nei guai non sia solo l’Italia, ma l’intero Occidente. Tuttavia, il mal comune non ci restituisce il mezzo gaudio del proverbio. L’aggravante, per il nostro Paese, discende dalle condizioni di partenza che lo vedevano, nel confronto con i partner occidentali, strutturalmente più debole già prima dell’insorgere della pandemia. È un concetto piuttosto semplice: se la crisi in altri Paesi dell’Europa e del Nord America colpisce da 6 a 8, in una scala di misura da 0 a 10, in Italia, a parità di effetti, colpirà 10. É il motivo per il quale il nostro Governo avrebbe dovuto agire con maggiore cautela sulla scena internazionale, evitando di appiattarsi sulle posizioni anglo-statunitensi nel sostegno a oltranza all’Ucraina contro la Russia in luogo della ricerca immediata di un compromesso accettabile per Mosca, concordato nell’ambito di un più ampio riassetto degli equilibri geostrategici nell’area orientale dell’Europa. Se, nella presente congiuntura, l’obiettivo del Governo Draghi era di sottrarre il sistema-Italia alla dipendenza dal gas russo, bersaglio mancato. Peggio, scenario totalmente ribaltato. Grazie alle scelte compiute in politica estera, le sorti dell’economia italiana sono state consegnate alle strategie sul campo dell’autocrazia moscovita. Vladimir Putin ci tiene per il collo.

Non è una nostra fantasia ma la conclusione di un’analisi circostanziata effettuata dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Intervenendo l’altro giorno all’assemblea dell’Associazione bancaria italiana (Abi), il governatore, con la pacatezza e la sobrietà richiesta dal contesto, ha spiegato come stanno le cose e il perché ci siamo assoggettati, inermi, ai disegni del capo del Cremlino. Visco dice: “Le tensioni geopolitiche stanno avendo un impatto marcato anche sull’economia italiana che, insieme a quella tedesca, è tra quelle maggiormente dipendenti dalle importazioni di materie prime dalla Russia. Lo scorso gennaio ci attendevamo una espansione del prodotto superiore al 3 per cento nella media del biennio 2022-23; nello scenario di base elaborato in giugno, nel quale si ipotizza che le tensioni associate alla guerra si protraggano per tutto il 2022 ma si esclude una sospensione delle forniture di gas dalla Russia, la crescita è stata rivista al ribasso, di 2 punti percentuali nel complesso del biennio, su valori prossimi a quelli dell’area dell’euro… In uno scenario avverso caratterizzato da un arresto delle forniture dal terzo trimestre di quest’anno, solo parzialmente sostituite da altre fonti, il prodotto registrerebbe una contrazione nella media del biennio 2022-23, per tornare a crescere nel 2024. Al deterioramento del quadro macroeconomico contribuirebbero le ricadute dirette di tale interruzione sui settori a più elevata intensità energetica, ulteriori rialzi nei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento del commercio estero, un peggioramento della fiducia e un aumento dell’incertezza”.

In soldoni, prima dello scoppio della guerra la previsione di crescita del Pil era data a 3 punti percentuali. Scoppiato il “casino”, le stime riviste al ribasso tagliano 2 punti, a patto però di mantenere costante l’approvvigionamento di gas dalla Russia nel biennio 2022/2023. Ma se sciaguratamente la fornitura dovesse interrompersi, l’Italia finirebbe in recessione. Intanto, il tasso d’inflazione, che erode il potere d’acquisto comprimendo pesantemente i redditi in termini reali, in giugno è schizzato all’8 per cento, di cui quattro quinti a causa degli effetti diretti e indiretti dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari (Visco); le stime sul debito pubblico italiano in giugno lo collocano tra 2.753 e 2.769 miliardi di euro, con una crescita dello spread tra i Btp decennali italiani e i Bund (10 anni) tedeschi fissato alla chiusura dei mercati l’8 luglio a 201,3 punti percentuali.

Il governatore Visco osserva, inoltre, che: “Le condizioni di offerta del credito sono divenute negli ultimi mesi meno favorevoli”. Ragione per la quale il rischio di una contrazione dell’attività economica è concreto. Se allineiamo tutti i punti dell’analisi del capo della Banca d’Italia la sola conclusione possibile è: Putin se lo volesse potrebbe strangolarci. Per le nostre imprese sarebbe il game over. Se Mosca chiude i rubinetti del gas siamo economicamente morti. E tutto questo al netto della protesta sociale che potrebbe divampare nel Paese nei prossimi mesi con l’arrivo dei primi freddi. Con chi dovremmo prendercela, se siamo stati trascinati sull’orlo dell’abisso? Con il destino cinico e baro? No, amici. Troppo comodo e troppo stupido. Gli errori in politica hanno sempre un nome e un cognome a cui intestarli. Nel caso italiano, la persona responsabile del disastro è Mario Draghi. Ai partiti di maggioranza, che sono diventati lo zerbino del premier, si può attribuire una responsabilità concorsuale nelle scelte compiute. Politicanti deboli. E miopi, per essere in grado di avere una visione del futuro della nostra comunità nazionale. Formazioni partitiche troppo rissose al proprio interno e tra loro per avere il privilegio di essere considerate co-protagoniste dell’azione di Governo. In Occidente, le opinioni pubbliche hanno cominciato a far sentire la loro voce critica sul modo con cui i governi hanno deciso di affrontare il dossier russo-ucraino.

Da qui al prossimo autunno una serie di stress-test ci dirà se le leadership che hanno scelto la via del sostegno a oltranza al conflitto armato saranno confermate o meno nel gradimento dei cittadini. In Francia, Emmanuel Macron ha perso la maggioranza all’interno dell’Assemblea Nazionale. Negli Stati Uniti, l’8 novembre, si voterà per elezioni di Midterm, cioè per il rinnovo della Camera dei rappresentanti e di un terzo della composizione del Senato. Se i Democratici dovessero perdere la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, gli ultimi due anni della presidenza di Joe Biden sarebbero quelli di un’anatra zoppa. In Gran Bretagna, l’anti-russo per eccellenza, il primo ministro Boris Johnson, è stato silurato dai suoi stessi colleghi del Tory party. Un nuovo inquilino a Downing Street, ancorché conservatore come Johnson, potrebbe cambiare l’approccio al dossier russo-ucraino.

È tempo che anche in Italia tutto cambi. Questa legislatura è già morta. Avrebbe dovuto durare il tempo del contenimento della pandemia. Invece, una politica incapace di governare la complessità e affollata di nani sta tramando per replicare, nella prossima legislatura, ciò che avrebbe dovuto essere eccezionale e irripetibile: il Governo Draghi. Le “belle statuine” del teatrino della politica non ci provino a tirarla per le lunghe. Più si intestardiranno nel voler restare incollati alle poltrone, più intensi saranno lo sdegno popolare e il desiderio di liberarsi di loro. Preveniamo l’obiezione: c’è una legge di bilancio da fare. D’accordo, la si faccia in tempi brevi e nella forma più neutra possibile ma un istante dopo la sua approvazione si restituisca al popolo sovrano il potere di scegliere da chi farsi rappresentare e governare nel prossimo futuro. Il deteriorarsi della condizione generale del Paese imporrà scelte radicali che solo una solida maggioranza, espressione coerente della volontà popolare, potrà assumere. Basta con gli uomini della Provvidenza e con i salvatori della Patria. Lo avevamo verificato con la pessima avventura governativa del “commissario” Mario Monti e ci siamo ricascati con Mario Draghi. Siamo incorsi due volte nello stesso errore. Ma non vi potrà essere una terza volta, per la semplice ragione che, di questo passo, non vi sarà più un Paese al quale venga concesso il lusso di sbagliare ancora. Lo ha detto tra le righe Ignazio Visco. E a lui noi crediamo.

Aggiornato il 12 luglio 2022 alle ore 09:42