
Nessuno realisticamente può immaginare una fine traumatica della legislatura a un anno dalle elezioni. Probabilmente andrà tutto secondo copione, ma ci sono degli indizi chiari sul fatto che la campagna elettorale sia entrata nel vivo e che da oggi in poi l’Esecutivo vivrà in uno stato di perenne fibrillazione su ogni tema. Fatta eccezione per la nuova creatura di Luigi Di Maio che rischia di morire in culla (i sondaggi sono pessimi), i sempreverdi cespugli cominciano a ondeggiare sardonicamente in cerca di un quid di utilità marginale, buono per spuntare uno strapuntino anche nella prossima legislatura.
Stessa strategia del Partito Democratico che, nel bel mezzo di una serie di simultanee crisi strangolanti (economica, sanitaria, energetica, geopolitica), pensa bene di porre sul tavolo un ventaglio di iniziative parlamentari sui diritti civili (guarda caso adesso, mica prima). Il tutto con una impostazione volutamente divisiva messa in campo per evitare qualsiasi discussione, favorire una divisione ideologica e sfruttare i temi di cui sopra come bandiere elettorali buone per contendere il pacchetto di voti dei cespugli posti alla sua sinistra. Ovviamente, il merito dei problemi è un mero effetto collaterale da derubricare alla voce varie ed eventuali.
E, nel mentre Giorgia Meloni se ne sta immobile e paciosa a raccogliere il consenso derivante dalla sua militanza all’opposizione, Matteo Salvini e Giuseppe Conte sono paradossalmente legati da un destino comune, che passa attraverso il paradosso di due partiti populisti che sanno bene di aver eroso una grossa fetta del proprio consenso attraverso la permanenza in un Governo voluto dal Palazzo e agevolato proprio da quelle forze che si definivano anticasta. L’emorragia di consenso non cessa, ragion per cui entrambi cercano di salvare il salvabile alzando la posta, invocando discontinuità, gonfiando il petto e cimentandosi in un “penultimatum” al giorno, consci come sono di non potersi prendere realmente la responsabilità di far saltare il tavolo in maniera pretestuosa.
Chi più e chi meno, tutti sanno che la partita elettorale sarà lunga, logorante e che molto probabilmente uscirà fuori una nuova composizione molto frammentata che vedrà tutti sconfitti, eccezion fatta per Giorgia Meloni. E che questo sia il retropensiero lo si intuisce chiaramente dagli atti concludenti: perché al di là delle affermazioni di principio, della Legge Zan e della voce grossa fatta ad arte sui cavalli di battaglia, la società dei magnaccioni si sta attrezzando per una nuova ammucchiata parlamentare da organizzarsi nella prossima legislatura con lo stesso schema attuale.
In Transatlantico sono tutti impegnati a verificare che in extremis possa approdare in Parlamento una legge elettorale proporzionale, un dannato stratagemma per evitare che i partiti siano vincolati a schemi bipolari o addirittura tripolari. Il tutto per sterilizzare il potere di interdizione delle compagini in ascesa e mitigare il tonfo di quelle in caduta libera, facendo in modo che anche questa volta gli italiani scelgano la prossima volta da chi vogliono essere governati.
Aggiornato il 08 luglio 2022 alle ore 10:01