Spettacolo dal vivo: una legge con poche luci e tante ombre

Da tempo il mondo dello spettacolo dal vivo attende una legislazione che dia una sistemazione organica del settore. Negli ultimi anni i governi hanno avviato diversi tentativi in tal senso, che per varie ragioni si sono però sempre arenati. Lo scorso 18 maggio il Senato ha approvato un disegno di legge delega, che ora aspetta di iniziare il suo iter alla Camera.

Le deleghe al Governo riguardano la redazione di un Codice dello spettacolo, cioè un unico testo normativo che dia al settore un assetto più efficace, ma anche numerose questioni “lavoristiche”, relative ad aspetti dei contratti di lavoro, ammortizzatori sociali, indennità e la definizione di un “equo compenso” per i lavoratori autonomi. Una volta approvata la legge delega anche dal secondo ramo del Parlamento, il Governo avrà a disposizione nove mesi per adottare i relativi decreti attuativi.

Già le tempistiche rappresentano un primo elemento di criticità, se si tiene presente che il termine naturale dell’attuale legislatura è previsto per marzo 2023. Entro tale data andrebbe pertanto approvata la legge delega, cosa non scontata, se si pensa che il disegno di legge è stato “arricchito” da ulteriori articoli (nascita del sistema degli osservatori e varie altre disposizioni) che ne rendono più lunga e complessa l’analisi e la discussione. Qualora però vi si riuscisse, il varo dei decreti sarebbe quasi certamente demandato al futuro Governo, espressione di una nuova maggioranza, che potrebbe fare valutazioni differenti e lasciar decadere il tutto.

Come è stato messo in rilievo in occasione di una tavola rotonda organizzata da Ibl e Oficina Ocm e dedicata proprio a questi temi, gli aspetti problematici della legge non riguardano solamente le tempistiche, ma anche la forma e i contenuti. Per quanto riguarda il “metodo”, la legge delega in questione, che dovrebbe limitarsi a contenere e definire dei principi, risulta in alcuni punti eccessivamente dettagliata: ad esempio, nelle parti riguardanti il lavoro, che assumono quasi le sembianze di un contratto collettivo.

Sui contenuti, invece, le criticità sono diverse. Indennità, ammortizzatori e in generale il nuovo welfare da delineare hanno oneri da definire, in capo allo Stato e ai datori di lavoro. La misura di cui più si è parlato, ovvero la cosiddetta “indennità di discontinuità”, una sorta di reddito per i periodi di inattività o di preparazione, formazione e studio dell’artista, rischia poi di avere alcune delle conseguenze negative del reddito di cittadinanza, come il fatto di scoraggiare il lavoro. Inoltre, la legge predispone la nascita di un articolato sistema di osservatori e di un tavolo permanente, che contribuiscono a creare una pletora di organi burocratici riguardanti lo spettacolo, ma stabilisce anche alcune norme ambigue e da chiarire, come “la promozione dell’equilibrio di genere”, oppure “il riconoscimento di una premialità per le istituzioni che impiegano, nelle rappresentazioni liriche, giovani talenti italiani in misura pari ad almeno il 75 per cento degli artisti scritturati”.

La sensazione, dunque, è quella che sia stata messa troppa carne al fuoco, con il rischio di non raggiungere per l’ennesima volta nessun obiettivo, perdendo così l’opportunità di conseguire quelle finalità che paiono più necessarie, come la realizzazione di un Codice dello spettacolo che semplifichi e razionalizzi la cornice normativa per far funzionare meglio il settore.

(*) Direttore editoriale Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 13 giugno 2022 alle ore 10:14