Amministrative: per il centrodestra è l’ora della verità

Il turno elettorale di domani, che riguarderà circa 9 milioni di cittadini (8.896.929) dei 978 Comuni chiamati al voto (Fonte: Conferenza delle Regioni e delle Province autonome), consegnerà alcuni verdetti da lungo tempo attesi. Di là dall’essere un test che coinvolge solo alcuni territori, le Amministrative rappresentano pur sempre un campione rappresentativo degli italiani e perciò possono essere considerate un indicatore affidabile della volontà popolare. Di certo, assai più dei sondaggi sulle intenzioni di voto, che hanno un pessimo difetto: incanalano il dibattito politico su false piste, offrendo pesi e consistenze dei partiti lontani dalla realtà.

Le urne, dunque, rimettono le cose a posto. Ecco perché guardiamo con la massima attenzione a ciò che ne verrà fuori. In ballo c’è la poltrona di sindaco in 26 capoluoghi di provincia, di cui 4 sono capoluoghi di Regione (Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo), per stare alle realtà più significative. A questo giro chi rischia maggiormente è il centrodestra, chiamato a difendere la guida di 18 Amministrazioni comunali sulle 26 da rinnovare. Dal prossimo lunedì avremo un’idea più chiara sullo stato di salute del centrodestra, che corre unito nelle principali competizioni locali. Ma non in tutte. Non è un male. C’è da capire, prima che sia troppo tardi, come tenda a orientarsi l’elettorato di destra rispetto ad assetti coalizionali variabili.

A Catanzaro Forza Italia e Lega hanno un candidato – il professor Valerio Donato – fuoriuscito di recente dal Partito Democratico e gradito ai renziani di Italia Viva, al quale Fratelli d’Italia contrappone una sua bandiera al femminile: la deputata Wanda Ferro, che gode del sostegno del sindaco uscente Sergio Abramo. Corsa in solitaria, invece, per il candidato del cespuglio centrista radicato nel centrodestra “Noi con l’Italia”, Antonello Talerico, presidente del locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati.

Situazione speculare a quella di Catanzaro è Parma. Parliamo sempre di centrodestra. Nella città cara a Stendhal non sono bastati dieci anni di potere dell’ex grillino Federico Pizzarotti, nel frattempo tornato ai suoi antichi amori sinistrorsi, per far ragionare i vertici locali del centrodestra, con il poco edificante risultato che si presenteranno in ordine sparso alla prova elettorale. Lega e Forza Italia con Pietro Vignali, disarcionato dalla poltrona di sindaco nel 2011 da un intervento a gamba tesa della magistratura; Fratelli d’Italia balla da sola con Priamo Bocchi. L’auspicio è che uno dei due vada al ballottaggio. Dopodiché, si spera, che i capipartito rinsaviscano e ritrovino l’unità. Debbono farlo per il bene di quel gioiello raro che è Parma.

Altro confronto nel centrodestra non privo di stimoli andrà in scena a Verona. Lì la candidatura forte è dell’uscente Federico Sboarina, che sarà sostenuto dai leghisti e dai meloniani, ma non da Forza Italia che nella città scaligera ha preferito associarsi ai renziani di Italia Viva nel sostegno al redivivo Flavio Tosi. Quest’ultimo, già sindaco leghista di Verona nel decennio 2007-2017, dopo l’espulsione dal partito nel 2015, ha girovagato in cerca di collocazione nell’area centrista senza tuttavia trovare un approdo convincente. Ma anche Sboarina non è illibato, politicamente parlando. Eletto sindaco di Verona nel 2017 in quota Lega, è transitato in corso di mandato in Fratelli d’Italia. Il fatto che oggi i leghisti veronesi abbiano deciso di appoggiarlo, nonostante il voltafaccia se lo siano legato al dito, la dice lunga sul pragmatismo del Carroccio. Sarà un caso che l’uomo forte del partito nella terra di Giulietta e Romeo sia Lorenzo Fontana, il campione della destra salviniana?

A Genova, invece, il quadro è rovesciato. Nella coalizione non ci sono partiti in cerca di una faccia presentabile da sostenere. Al contrario, c’è un sindaco di centrodestra, amato e apprezzato dai concittadini, che si ricandida e al quale i partiti fanno a gara ad aggrapparsi per essere certi di guadagnare uno strapuntino sul carro del vincitore. Alle spalle di Marco Bucci sono in tanti. Oltre alla triade Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia, ci sono i centristi di tutte le gradazioni e sfumature. E ci sono i renziani di Italia Viva e gli “azionisti” di Carlo Calenda, anche se entrambe le formazioni non partecipano con liste di partito ma hanno inserito propri candidati nelle civiche che sostengono Bucci.

Altro risultato da monitorare sarà quello del Comune de L’Aquila. Lì il centrodestra si presenta unito nel sostegno al sindaco uscente Pierluigi Biondi, di Fratelli d’Italia. L’obiettivo sarà non solo vincere ma misurare, attraverso il numero di preferenze ricevute, il giudizio che gli elettori aquilani avranno dato dei cinque anni di Amministrazione della città da parte di un esponente del versante conservatore-sovranista.

Ma il benchmark per valutare il futuro del centrodestra, ancora una volta, sarà offerto dal “laboratorio” siciliano di Palermo. La città si prepara a dare il saluto, senza grandi spargimenti di lacrime, all’uscente e non ricandidabile Leoluca Orlando. Il centrodestra, dopo un travagliato confronto interno, ha raggiunto l’intesa sul nome di Roberto Lagalla, primario radiologo e docente universitario presso l’ateneo palermitano. Lagalla è un moderato di estrazione democristiana, non nuovo alla politica. Nel 2017 è stato eletto all’Assemblea regionale siciliana in quota alla lista Idea Sicilia Popolari e Autonomisti Musumeci Presidente, ottenendo 8.158 voti di preferenza. Iscritto al gruppo regionale Udc-Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di centro, è stato assessore all’Istruzione e Formazione professionale nella Giunta Musumeci dal 29 novembre 2017 al 31 marzo 2022, data delle dimissioni per candidarsi a sindaco di Palermo. A votare Lagalla sarà anche la componente siciliana di Italia Viva nonostante la netta contrarietà di Matteo Renzi. Il sostegno, invece, assicurato a Lagalla da Fratelli d’Italia va interpretato come un’apertura di Giorgia Meloni all’intesa integrale sulla Sicilia che includa l’appoggio di Forza Italia alla ricandidatura di Nello Musumeci alla presidenza della Regione, al voto il prossimo autunno. Sostegno forzista tutt’altro che scontato, visti i tentativi dei vertici locali del partito di Silvio Berlusconi di convincere i big nazionali a pensionare Musumeci, personaggio tutto d’un pezzo e perciò non amatissimo a quelle latitudini.

Meno incisiva sul futuro politico del centrodestra, ma paradigmatica per mostrare la capacità d’“incasinamento” della coalizione è la situazione determinatasi a Viterbo. Lì il centrodestra non si limita a spaccarsi ma va in frantumi. Proviamo a raccapezzarci. C’è Laura Allegrini, candidata di Fratelli d’Italia, sostenuta anche dal Popolo della Famiglia e da “Siamo Viterbo”; c’è Claudio Ubertini, candidato di Udc, Lega e Forza Italia. Sempre per la destra, ci sono Marco Cardona, di Italexit di Gianluigi Paragone e Chiara Frontini sostenuta da Rinascimento di Vittorio Sgarbi e da alcune civiche. Se non è un modo per suicidarsi politicamente questo, non sapremmo cosa altro il centrodestra possa inventarsi per farsi male da solo. Sarà dunque sufficiente analizzare i risultati nei Comuni-campione per comprendere cosa chiedono, in termini di posizionamento, gli elettori del centrodestra ai partiti di riferimento.

L’auspicio è che stavolta i leader li ascoltino e non provino a fare come al loro solito, sovrapponendo le proprie traiettorie tattiche alla volontà dell’elettorato. Visto che siamo in argomento, chiariamo un concetto: per l’elezione del Presidente della Repubblica è stato combinato un disastro. Il trio Berlusconi-Salvini-Meloni cerchi di non fare il bis alle prossime politiche, nella primavera del 2023. Perché, come si dice: errare è umano, perseverare è diabolico. Di più: è da fessi autolesionisti, indegni di parlare per conto della maggioranza del popolo italiano.

Aggiornato il 12 giugno 2022 alle ore 09:05