Il 12 giugno è ormai alle porte e, con esso, la consultazione sui quesiti referendari in tema di giustizia. Dopo essere stati (meritoriamente) promossi da alcune forze politiche, sui quesiti è calata una coltre di silenzio. Solo in questi ultimi, trascinati giorni, si sta accennando a qualche dibattito, sia all’interno dei partiti, sia sui media: troppo poco, troppo tardi.

Si è detto che la complessità tecnica dei quesiti è stata di ostacolo alla campagna referendaria, ma questo è un misero tentativo di autoassolversi. A parte che nessun quesito, non importa quanto apparentemente cristallino, è in verità “facile”, ma se anche i cinque quesiti sulla giustizia fossero davvero più complicati di altri, non sarebbe stato questo un motivo per impegnarsi maggiormente nella campagna, compiendo anzitutto un’adeguata opera di informazione?

Ciò che preoccupa maggiormente, giunti a questo punto, è l’effetto boomerang che il probabilmente alto tasso di astensionismo potrà avere, dal momento che è facile immaginare che il mancato conseguimento del quorum verrà strumentalizzato come endorsement dello status quo da parte dell’elettorato. Proprio per tale ragione, non resta che fare l’ultimo – sentito – appello ad andare al mare solo dopo aver votato (i seggi sono aperti dalle 7!), nonché spiegare – sinteticamente – le ragioni di cinque sì.

Sì al quesito della riforma del Consiglio superiore della magistratura, perché la crisi dell’ordinamento giudiziario non ammette cautele o ritardi: se viene meno la fiducia nell’integrità del terzo potere dello Stato, le sentenze rischiano di restare una composizione di segni neri su pagina bianca. Per le medesime ragioni, sì al quesito sull’equa valutazione dei magistrati. Sì al quesito sulla separazione delle funzioni dei magistrati, perché è necessario compiere il primo passo per dar seguito alla promessa costituzionale di un giudice terzo non solo soggettivamente ma anche oggettivamente.

Sì al quesito sui limiti agli abusi del sistema cautelare, perché la carcerazione preventiva come anticipo di pena, o come sanzione extra ordinem imposta a chi poteva riconoscersi come innocente fin da principio, è una pratica abominevole. Sì al quesito sull’abolizione del decreto Severino, perché è necessaria una nuova legge che corregga le criticità in punto di lesione, per un verso, della presunzione di innocenza e del diritto di elettorato passivo, e, per altro verso, del principio di rappresentanza democratica.

In definitiva, cinque volte sì ai quesiti referendari, perché per insistere sul buon andamento e sulla conformità a Costituzione del sistema giudiziario non c’è bisogno di essere eminenti giuristi o lettori appassionati dei manuali di diritto costituzionale: è necessario essere cittadini che hanno il diritto di aspettarsi una “giustizia giusta”.

(*) Forlin fellow Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 07 giugno 2022 alle ore 10:16