La vicenda in Senato delle dimissioni di Vito Petrocelli dalla Commissione affari esteri è stata quanto mai istruttiva – se mai ce ne fosse ancora bisogno – della reale ideologia del Movimento 5 Stelle. Non è la prima volta né tanto meno l’ultima che il movimento di Beppe Grillo si lancia a briglia sciolte (a parte il ministro degli Affari esteri, Luigi Di Maio) in una storia che possiede tutte le caratteristiche di una esposizione coram populo di quel vero sentire (e agire) che spesso la politica nasconde: o perché vuole cogliere di sorpresa l’avversario o perché non vi riesce.
Questa seconda ipotesi sembra la più consona all’ultima storia in Senato dove il presidente della Commissione Affari esteri, il grillino Petrocelli, intenzionato a non lasciare la carica, era stato letteralmente destituito grazie alle dimissioni di tutti i membri della Commissione; una regola che ha quasi dell’incredibile.
Meriterebbe un discorso ben più ampio l’atteggiamento di un M5S che nell’incertezza e con la consueta confusione nella scelta fra partito di lotta e partito di governo ha mandato in avanscoperta il suo presidente Giuseppe Conte che, inopinatamente, ha auspicato un chiarimento di Governo facendo finta di ignorare, et pour cause, il grande successo negli Usa del premier Mario Draghi: una delle rare volte in cui il nostro Paese, come si dice, si è fatto rispettare. Peraltro, il chiarimento reclamato dai Cinque Stelle si riferisce alla guerra in corso, armi pesanti o armi leggere, e la simpatia per marce e marciatori per la pace è assai forte. Dunque, il vero chiarimento è (o dovrebbe essere) all’interno di un M5S nel quale Conte è il principale sostenitore della politica antiamericana e filo-putiniana. Nulla si sa del pensiero di un Grillo fino ad ora silente.
Ma l’incredibile si è di nuovo e più vivacemente verificato dopo la designazione del collega pentastellato Gianluca Ferrara, che è anche il numero due del suo gruppo al Senato. Si è ben presto capito (come al solito il M5S ha fatto orecchie da mercante, per la semplice ragione che molti al suo interno la pensano allo stesso modo, se non peggio) che il designato Ferrara è un più che degno successore ideologico di Petrocelli; ne è, anzi, un maestro in antiamericanismo e filo Russia, filo Cina, filo Assad.
Il senatore Ferrara, del resto, non sembra abbia molta dimestichezza con la cartina geografica, magari con qualche sforzo nel guardare con attenzione, fuori da qualsiasi schema politico-ideologico, al nord dell’Europa, precisamente alla penisola scandinava. Infatti, e proprio a proposito della politica esplicitamente anti-Usa dello stesso Ferrara, un fermo e chiaro disaccordo proviene da un grande Paese scandinavo come la Finlandia che, avendo più di mille chilometri di confine con la Russia, e ricordando storiche invasioni sia di Adolf Hitler che di Stalin, ha deciso di garantire la sua sicurezza aderendo alla Nato dopo decenni di sostanziale neutralità.
Insomma, il vero problema, una sorta di emergenza dopo le “sparate” di Vladimir Putin, è la sicurezza, la difesa dei propri confini nel timore di aggressioni o invasioni. Fra i grillini c’è sempre stata una sostanziale indifferenza, sommata alla incapacità politica, nel rapportarsi a problematiche complesse, tanto più delicate, quanto più interconnesse, con rapporti internazionali e riflessi interni, e la vicenda della presidenza della Commissione del Senato ne è una prova lampante. E istruttiva. Come fa notare “Il Foglio” a questo proposito: “Il senatore Ferrara era oggettivamente inadeguato a un ruolo istituzionale come la presidenza della Commissione Affari esteri. C’è da chiedersi anche se lo sia per il ruolo di vicecapogruppo del partito che esprime il ministro Di Maio. Ma questo, per fortuna, è un problema del M5s e non delle istituzioni”.
Aggiornato il 15 maggio 2022 alle ore 09:25