Forse, era davvero inevitabile. Il netto rifiuto a ogni ipotesi di trattativa, quella proposta da Bettino Craxi in particolare, indusse i brigatisti a pensare di non avere alternative alla eliminazione di un ostaggio diventato ingombrante per tutti e non solo per i sequestratori. La telefonata che annunciava il luogo in cui sarebbe stato restituito il corpo di Aldo Moro fu, dunque, l’epilogo di una vicenda nella quale la logica della ragione di Stato soverchiò ogni altra istanza.
“Liberatelo senza condizioni” aveva detto, con la morte nel cuore, il Pontefice, consapevole della impraticabilità di tutti i percorsi che non prevedessero la fisica eliminazione dello statista democristiano. L’errore dei brigatisti – ammesso che davvero di errore si trattasse – fu quello di arroccarsi su posizioni di intransigenza, lasciandosi sfuggire la più clamorosa tra le opportunità: quella di riconsegnare, vivo, un uomo che, nei giorni della prigionia, aveva disvelato, dissociandosene, i nervi scoperti del sistema politico. La salvezza di quella vita, sono certo, avrebbe fatto bene alla fragile democrazia di questo povero Paese, modificandone, almeno in parte, le sorti negli anni successivi. All’indicibile prezzo di un omicidio efferato, insomma, si aggiunge quello politico, che paghiamo ancora.
Forse non tutti sanno che… pochi giorni prima di essere rapito, Aldo Moro rilasciò ad Eugenio Scalfari un’intervista che, oltre al resto, può avere contribuito a determinare la sua morte. Moro disse, senza mezzi termini, che l’Italia sarebbe diventata una democrazia compiuta se, agganciato il Partito Comunista italiano ai valori dell’Occidente, si fossero costruiti i presupposti per un’alternativa, convinto che la competizione avrebbe giovato all’Italia e, anche, alla Democrazia Cristiana. In quei giorni, aveva appena ultimato la costruzione del Governo di unità nazionale, al quale, secondo le sue previsioni, sarebbe seguito un Governo dell’uno (Dc e alleati) o dell’altro (Pci e alleati), secondo la logica dell’alternanza nel quadro della democrazia. Sappiamo come sono andate le cose ma, soprattutto, sappiamo che quella logica non si è mai realizzata perché, a queste condizioni, non può realizzarsi.
Per costruire un contesto di stabilità (l’alternanza è tale), occorre una legge elettorale che produca un vincitore e uno sconfitto, un Governo e una opposizione. Noi, come i fatti dimostrano, viviamo in un Paese nel quale le maggioranze fluttuano continuamente e partoriscono governi quasi mai corrispondenti alla volontà degli elettori. Due, insomma, gli effetti prodotti da una legge elettorale vergognosa: nessuno vince; chiunque può trovare posto al Governo. Se Moro vivesse, mi piacerebbe chiedergli che cosa pensa del sistema proporzionale. E se lo ritiene fonte di frammentazione. Cambiare le leggi elettorali, per crescere, o diventeremo una Repubblica nella quale si è costretti a sperare in un Salvatore che governi davanti a un Parlamento supino, fatto soltanto di comparse.
Aggiornato il 10 maggio 2022 alle ore 09:46