Con l’Ucraina entrerà in Europa anche il Donbass?

L’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea è da tempo dibattuto e più presidenti di Commissione ne hanno auspicato l’adesione.

Negli anni, al di là dei proclami, il traguardo però non è stato mai raggiunto e “l’identità europea del popolo ucraino e l’irreversibilità del corso europeo ed euro-atlantico dell’Ucraina” affermata nel 2019 in un emendamento della Costituzione ucraina, si è fino ad ora limitata alla sottoscrizione di numerosi accordi bilaterali nel settore del libero scambio, del commercio e della politica energetica, il più “politico” dei quali, firmato nel 2013, fu causa della nota rivoluzione che terminò nel 2014 con la destituzione dell’allora presidente filorusso Viktor Janukovyc.

Per via del conflitto in atto l’operazione ha oggi assunto un significato che va al di là delle solite valutazioni per l’ingresso di un Paese che ambisce la candidatura.

A seguito di nuova richiesta da parte del presidente Volodymyr Zelens’kyj il 1º marzo il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui “invita le istituzioni europee ad adoperarsi per concedere all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue, in linea con l’articolo 49 del trattato sull’Unione europea.

Ora seguiranno i passi formali. Sulla domanda di adesione dovrà esprimersi il Consiglio europeo previa consultazione della Commissione europea che a breve presenterà un parere il cui esito, in parte anticipato dal presidente Ursula von der Leyen, può dirsi scontato.

Quello che a breve potrà avvenire sarà solo il riconoscimento per l’Ucraina dello status di candidato ufficiale. Un segnale politico importante in questo frangente storico, ma solo preliminare al lungo iter di ingresso che vede per prima cosa l’apertura di negoziati che hanno ad oggetto il corpo di legislazione dell’Unione in molteplici aree. Il Consiglio dell’Ue fissa i parametri di riferimento per ciascuna di esse e il negoziato si conclude quando il candidato dimostra di aver attuato le modifiche alla propria legislazione in linea a quella degli altri Paesi membri.

Chiusa la fase dei negoziati, viene redatto il trattato di adesione, che deve essere approvato all’unanimità dal Consiglio dell’Ue e dal Parlamento europeo e poi ratificato da ognuno degli Stati membri. Si tratta dunque di un percorso lungo e articolato che prevede passaggi inderogabili e impossibili da realizzare in pochi mesi. Ad esempio la Croazia, ultimo Paese giunto in Ue, ha impiegato 10 anni dalla domanda di adesione al suo ingresso ufficiale!

Per fortuna al momento con la risoluzione del Parlamento europeo del 1° marzo siamo ancora agli atti politici, mentre quelli giuridici hanno da venire in quanto l’entusiasmo che ha spinto i 637 membri dell’Eurocamera al voto favorevole forse non ha tenuto conto del Donbass, attualmente parte integrante dell’Ucraina, sebbene le repubbliche di Donetsk e Lugansk si siano dichiarate indipendenti. Sarebbe molto problematico per l’Europa gestire all’interno dei propri confini una situazione che, se non risolta in un auspicabile prossimo trattato di pace, durerà ben oltre gli anni previsti per l’iter di ingresso.

Il Cardinale Carlo Maria Martini in un discorso sulla pace sostenne che, al di là dei torti e delle ragioni, pur di raggiungerla è giusto cedere cose che ragionevolmente non andrebbero cedute. È il caso del Donbass, o perlomeno delle due Repubbliche. Sarebbe tanto assurdo riconoscerne l’indipendenza pur di far cessare la guerra? È un quesito che si dovrebbero porre in Europa anche al fine di non trovarsi nel futuro in un grattacapo irrisolvibile pur di mantenere fede all’impegno preso il 1° marzo.

Aggiornato il 14 aprile 2022 alle ore 09:41