La fiducia continua posta dal Governo

Il Governo presieduto da Mario Draghi, fino a tutto dicembre scorso, aveva posto per ben 35 volte la questione di fiducia, stabilendo una media mensile di 3,2 che lo ha posto al di sopra dell’Esecutivo presieduto da Mario Monti. Non diversamente avevano operato i precedenti governi, quello di Matteo Renzi, di Silvio Berlusconi, di Giuseppe Conte, di Paolo Gentiloni, anche se oggi si è toccato probabilmente una sorta di record, dal momento che Draghi ha posto la fiducia quasi una volta alla settimana. Espongo qui due riflessioni critiche e una proposta di riforma costituzionale, nella consapevolezza di come le critiche non siano nuove, ma che la proposta è – a quanto ne so – nuova e che perciò solleverà forse obiezioni da parte dei costituzionalisti e dei commentatori.

La prima riflessione induce a valutare come spesso la questione di fiducia venga posta dal Governo su testi normativi contenuti in decreti del tutto disomogenei, dove si dettano cioè regole destinate a scopi assai diversi fra di loro e su materie fra loro non comunicanti. Per questo motivo, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha più volte richiamato i governi invitandoli a smettere questa nefanda abitudine che mette il Parlamento in condizioni di grave ed evidente disagio, snaturando inoltre il senso giuridico del decreto-legge, privato di ogni interna omogeneità anche con riferimento ai requisiti legati all’urgenza.

La seconda riflessione spinge invece a considerare – allo scopo di censurarla severamente – la disinvoltura con la quale i governi pongono la fiducia, in forza della quale gli emendamenti già proposti dai parlamentari decadono di diritto, facendo perdere al Parlamento la sua funzione costituzionale, dal momento che in esso non si parla più semplicemente perché non c’è più nulla di cui parlare, non si pensa perché non occorre pensare: il Governo parla a se stesso, pensa per tutti e decide di conseguenza.

È noto, comunque, come questo aspetto sia ben presente ai critici della crisi del parlamentarismo, ma senza che mai si sia fatto qualcosa per arginare il pericoloso fenomeno che vede il Parlamento ormai estinto, pur rimanendo l’architettura del nostro impianto costituzionale quella di una Repubblica parlamentare e non certo presidenziale. Da qui la proposta di riforma-integrazione della Costituzione. Propongo di impedire al Governo di porre la questione di fiducia oltre un certo numero di volte in un arco di tempo predefinito, a pena di decadenza: per esempio, non più di dieci o dodici volte in un anno solare. E ciò per il semplice motivo che, allorché il Governo pone la fiducia, lo fa perché teme di non averla questa fiducia e perché spesso non ne gode affatto: per questo ha il bisogno di chiederla e per questo la ottiene, operando un autentico ricatto nei confronti del Parlamento, minacciato di scioglimento quirinalizio in caso dovesse negarla.

L’esperienza parlamentare di questi ultimi anni lo dimostra in modo inequivocabile. Ciò significa che sempre più spesso il Governo, di fatto, non ha la fiducia, proprio perché ha bisogno di chiederla; ma ciò che ottiene non è una vera fiducia, bensì una sua sterile ed esangue controfigura, vale a dire una sommatoria di voti che raggiungono la maggioranza soltanto perché i parlamentari non hanno altra scelta, allo scopo di tutelare il proprio seggio evitando lo scioglimento. In altre parole, siamo in presenza di una doppia mistificazione. Da un lato, il Governo che sa di non aver la fiducia, la chiede, fingendo che il voto che ne verrà sarà libero e genuinamente vocato a darla; dall’altro, il Parlamento, che non ha affatto fiducia nel Governo, tuttavia la fornisce, fingendo che il voto sia libero e genuinamente vocato a darla.

Insomma, un penoso gioco delle parti, che mostra davvero la scarsa considerazione che i suoi protagonisti nutrono nei confronti degli organi costituzionali che impersonano e che testimonia, inoltre, un Governo che governa impunemente, perché privo di una reale fiducia delle Camere della quale nulla gli importa. A essere tragicamente assente qui, ovviamente, è la realtà del nostro Stato democratico come disegnato dalla Costituzione, la sua sostanza giuridica e politica. Questa ripetuta ipocrisia costituzionale induce alla più amara constatazione. Gli italiani non la meritano.

(*) Tratto da La Sicilia

Aggiornato il 11 aprile 2022 alle ore 09:40