La patente del cittadino virtuoso e il totalitarismo tecno-cinese

Tra la guerra in Ucraina, l’attesa della fine dello stato di emergenza, l’altalena del prezzo delle materie prime in genere e della benzina in particolare, è passata quasi in sordina la notizia per cui a Bologna è stata annunciata la patente digitale del cittadino virtuoso, la cui sperimentazione dovrebbe iniziare dopo l’estate su base volontaria. Di cosa si tratta esattamente e perché dovrebbe destare preoccupazione? In sostanza, è una grande esperimento sociale, necessario per verificare il grado di adesione dell’opinione pubblica, con cui si intende dotare ogni cittadino che ne farà richiesta di una patente digitale con dei punti che potranno essere guadagnati o perduti in base alle virtù socio-culturali del titolare.

Così se il titolare utilizzerà i mezzi pubblici invece dei suoi privati, riciclerà i rifiuti, se parteciperà a eventi culturali, se non prenderà sanzioni dalla polizia municipale, se gestisce bene l’energia il titolare guadagnerà punti; analogamente, e per converso, i punti verranno sottratti nei casi opposti e in tutte le altre eventualità previste. I punti guadagnati, inoltre, potranno essere utilizzati per benefici come le scontistiche o la partecipazione ad altri eventi culturali. Nonostante i più ingenui possano ritenere che non vi sia nulla di male nella circostanza per cui lo Stato possa e debba indurre i propri cittadini a divenire più virtuosi, la proposta è invece quanto mai preoccupante meritando alcune riflessioni in merito.

In primo luogo: che lo Stato debba fornire una educazione al rispetto dei precetti sociali e giuridici è cosa buona e giusta, sebbene il sistema scolastico già da decenni ha dimostrato la propria totale inefficienza nel raggiungimento di tali obiettivi per diverse motivazioni che in questa sede non importa analizzare; ma ritenere che lo Stato debba formare cittadini virtuosi è cosa differente e di assoluta gravità poiché significa trasformare il cittadino in suddito o scolaro a vita da addestrare e lo Stato in una entità etica che esso per natura non è, o non nel senso prospettato dalla suddetta proposta.

Peraltro, una cosa è educare dei minorenni alle regole essenziali della civile convivenza, ai valori costituzionali, ai principi universali dell’umano, altra cosa, invece, è pretendere di sottoporre a un addestramento morale continuo e perpetuo i maggiorenni che non si sono saputi educare quando erano minorenni a causa delle strutturali deficienze del sistema educativo scolastico in genere e della povertà umana e culturale della stragrande maggioranza del personale docente. La crisi educativa dello Stato, del resto, è la medesima di cui soffrono da decenni le famiglie e la Chiesa; tuttavia, bisognerebbe comprendere da parte di tutti che ciò che si è perduto nel focolare domestico, nella classe scolastica e nell’oratorio parrocchiale non può essere recuperato tramite sotterfugi, espedienti o scorciatoie pensate per riparare tardivamente i danni procurati nel corso del tempo.

In secondo luogo: sebbene sia giusto che una dimensione etica costituisca l’orizzonte di azione della politica e della convivenza sociale e giuridica, è anche pur vero che ritenere che tutto possa rientrare in tale dimensione etica significa negarne lo statuto, l’importanza e la natura. Così se il rispetto della vita umana, della libertà e della dignità è un requisito senza dubbio di carattere etico e che risulta imprescindibile per la civile convivenza degli agglomerati umani, non così si può ritenere la partecipazione “obbligata” a eventi culturali o la mancanza di sanzioni amministrative in seguito a violazioni del codice della strada. Il singolo cittadino, infatti, non sarebbe un cittadino non virtuoso perché parcheggia l’automobile sulle strisce pedonali, né tanto meno perché non partecipa agli eventi culturali organizzati dall’amministrazione comunale.

La virtù, infatti, è una attitudine del foro interno che nulla ha a che fare con le predette situazioni le quali, invece, attengono, appunto, al foro esterno. Del resto, ben potrei essere uomo di eccezionale cultura, magari privato collezionista d’opere d’arte e loro raffinato studioso e commentatore, pur senza partecipare alla mostra organizzata dal mio Comune di residenza: la mia eventuale non partecipazione non può dir nulla sulla mia virtù né sulla mia cultura o sulla mia capacità intellettuale. A contrario: se fossi un ricercato mafioso condannato per omicidi plurimi e partecipassi alla mostra comunale, questo non farebbe di me un cittadino virtuoso, anche se riciclassi alla perfezione tutti i miei rifiuti quotidiani.

In terzo luogo: la pretesa in tal senso, cioè quella della patente del cittadino virtuoso, lungi dall’essere una sicurezza di eticità, è, invece, spia acuta di una mancanza di eticità, anzi, di una contrarietà all’eticità minima della civile convivenza poiché è estremamente analoga alla pretesa degli Stati totalitari di voler plasmare le coscienze e le menti dei loro cittadini. Ecco perché in Unione Sovietica si studiava l’ateismo scientifico come materia curriculare scolastica; ecco perché nella Cina di Mao si studiavano i suoi pensieri politico-ideologici; ecco perché nella Germania nazista occorreva aderire alla follia ideologica della superiorità della razza ariana non soltanto con comportamenti esteriori, ma anche e soprattutto con la propria più intima convinzione all’interno della propria coscienza, coscienza da piegare e forgiare tramite il ministero della Propaganda guidato da Joseph Goebbels.

Una simile proposta, quindi, costituisce l’introduzione del sistema cinese dei crediti sociali, cioè quel sistema vigente nell’attuale Cina capital-comunista e totalitaria per cui i diritti e le libertà sono estesi o ristretti in base ad un analogo sistema di punteggio – di crediti sociali appunto – gestiti dall’autorità pubblica: se il cittadino paga le tasse, arriva in orario sul posto di lavoro, non inquina, non ha conteziosi giudiziari o amministrativi, partecipa alle attività del Partito, osserva le regole imposte allora cresce nel punteggio sociale e accede a maggiori benefici, diritti e libertà; se avviene il contrario discende nel punteggio sociale e perde benefici, diritti e libertà.

Tutto ciò è mostruosamente disumano poiché certi diritti, certe libertà e certe facoltà non sono concessioni dell’autorità pubblica, ma promanano direttamente dalla natura stessa dell’essere umano, sono cioè il riflesso di quel diritto naturale che precede e sovrasta qualunque autorità pubblica, tanto in Cina quanto in Occidente. La mentalità comune è già stata abituata ad una simile logica nell’ultimo biennio tramite il Green pass, ma l’estensione illimitata del sistema significa far transitare gradualmente e lentamente il sistema da quello tipico dello Stato di diritto a quello anomalo e anti-umano dello Stato totalitario. Occorre, dunque, quanto prima prendere coscienza della gravità di simile iniziative e ostacolarne in ogni modo la diffusione, per evitare di cominciare ad essere tutti cittadini più virtuosi e finire per essere tutti schiavi dalle anime spente perché eterodirette dalla pubblica autorità.

Aggiornato il 04 aprile 2022 alle ore 08:46