La guerra preventiva di Putin a un Occidente al tramonto

Evitando i problemi più urgenti che il conflitto oggi esploso propone – dare o no armi all’Ucraina, quale strategia diplomatica sia la migliore – illustro qui un tentativo di lettura di carattere generale della guerra in corso, che forse potrà essere utile per capire il senso complessivo del fenomeno. Assumendo una prospettiva ampia, per interpretare i significati che la guerra veicola, è possibile affermare che in realtà a fronteggiarsi non siano due Stati, bensì due visioni del mondo fra loro incompatibili.

Da un lato, l’Occidente. Questo, da circa vent’anni, sembra avviarsi a incarnare il destino che viene espresso dal nome che lo designa e sul quale tanto aveva insistito Martin Heidegger: terra del tramonto. Infatti oggi, in Occidente, sono avviate al tramonto molte delle dimensioni che ne hanno caratterizzato, da secoli, la fisionomia. Tramonta l’economia, spodestata dalla finanza. Invece della valorizzazione del lavoro e della fatica dell’uomo, che vengono poi espressi nel prezzo dei beni e dei servizi, campeggia la pura speculazione finanziaria dei titoli, nel cui ambito perdite e guadagni sono del tutto virtuali, legati a vicende imprevedibili spesso fittizie, quando non a dichiarazioni di questo o di quel Governo, in grado di far impoverire in poche ore legioni di investitori, facendone arricchire altri a dismisura: le élite finanziarie. Ecco perché un ventenne di Boston o di Tokyo, sbadigliando nel sorbire un caffè, spostando al computer titoli da un mercato a un altro, può guadagnare in pochi minuti somme equivalenti a quelle di un neurochirurgo in un intero anno di attività, pur avendo nelle mani la vita di centinaia di esseri umani. Una cosa surreale e folle.

Tramonta la politica, spodestata dalla tecnocrazia. Invece del confronto politico umanamente fondato, anche aspro, tramite il quale Europa e America hanno sempre costruito, con fatica e passione, progetti di vita sociale per le loro comunità, campeggia la pura tecnocrazia dedita spesso, usando algoritmi tanto assurdi quanto tirannici, Miguel Benasayag parla di “tirannia dell’algoritmo”, a governare in modo dispotico l’emergenza sempre nuova (economica, sanitaria, energetica). Una cosa pericolosa e antidemocratica.

Tramonta il dibattito pubblico, spodestato dal pensiero unico dominante. Invece della salutare dialettica democratica, in virtù della quale si sono edificati gli Stati e i loro legami internazionali, campeggia un solo pensiero tecnocratico, proteso ad affermare se stesso attraverso il ruolo ancillare della politica e dei mezzi di informazione, nell’usare un subdolo manicheismo, per cui chi solleva dubbi di sorta, viene subito stigmatizzato pubblicamente ed emarginato, come accaduto per la pandemia prima e per la guerra oggi (lo nota Michele Ainis). Una cosa pericolosissima e incostituzionale.

Tramontano il diritto e la libertà. Invece di identificare nella persona umana il diritto sussistente, com’era tradizione, l’essere umano evapora, privato di identità, sacrificata sull’altare dell’indifferenza assoluta sessuale, sociale, politica, giuridica, in un magma indistinto dove naufragano i diritti della persona, sommersi dallo stravolgimento delle garanzie costituzionali, mentre conduttori televisivi sorridono compiaciuti ogni sera, per rassicurare gli sbigottiti spettatori; la libertà vien poi subordinata a crescenti legacci burocratici che, salvandola nella forma, la svuotano di contenuti nel nome di un transumanesimo proteso a un controllo tanto capillare quanto occulto. Una cosa esiziale e antigiuridica.

Dall’altro lato, la Russia. Vladimir Putin sembra voler recuperare non la ex Urss, quanto i fasti dell’imperialismo zarista, dove il potere centrale assoluto da lui detenuto permette alla nuova classe aristocratica – gli oligarchi, eredi dei latifondisti – di arricchirsi sulla pelle degli altri, ma sempre nel rispetto di una gerarchia riaffermata con il pugno di ferro. Da qui, l’assenza della libertà di stampa, la prigionia degli oppositori, l’autocrazia. In una sola parola: la dittatura.

Si fronteggiano così, in realtà, due opposte degenerazioni del capitalismo. Da noi, una forma elitaria e dispotica di tecnocrazia finanziaria, tipica del cosiddetto neo-capitalismo “della sorveglianza”, come definito in un sagace studio di Shoshana Zuboff; in Russia, un neo-imperialismo vetero-zarista e illiberale. Niente di strano che il vero timore di Putin sia che la tecnocrazia occidentale si espanda fino a lambire le regioni del suo impero, per poi fagocitarle. Perciò la guerra. Preventiva.

(*) Tratto da La Sicilia

Aggiornato il 01 aprile 2022 alle ore 10:31