Ugnione Scioviettica

Chi, come me, ha vissuto due terzi della propria vita in una città come Modena i cui tempi d’oro hanno visto un 54 per cento al Pci, ha tuttora difficoltà a definire Russia quel pezzettino di terra che va dai Balcani allo stretto di Bering. Prima del mortale imbarazzo del novembre dell’89, quando cadde il muro che difendeva l’Eden orientale dall’assalto di milioni di occidentali attratti dal sogno di quel paradiso, il lavaggio quotidiano e indiscriminato del cervello era straordinario. Si esclamava la parola libertà persino a distanza di migliaia di chilometri da Mosca, faro di democrazia. La parola Russia, invece, era proibitissima, e i rari, eroici non comunisti che osavano pronunciarla erano prontamente redarguiti da qualcuno dei novantamila commissari del popolo su centosettantamila abitanti. “Si dice Ugnione Scioviettica, la Russia non esiste più, era quella degli Zar contro il popolo. Sci aggiorni!”. Il sistema sovietico era riprodotto miracolosamente in una delle regioni più ricche e produttive d’Italia. Il metodo, semplice, era il modello emiliano, il cui calembour fu genialmente riprodotto da un vignettista dell’epoca: falce, martello e dollaro. Dunque, i più ricchi tenevano la Ferrari a Montecarlo, mentre in città giravano su un rottame Fiat, mai Zaz, Uaz, Zigulì, troppo esposte. Del resto, gli stessi Agnelli hanno sempre strizzato l’occhio ai compagni. In Emilia, tutti votavano Pci, e gli impiegati “moderati”, costretti alla cessione del quinto per cambiare lo scaldabagno rotto, non capivano tanto amore scioviettico di tutti questi ricconi.

Come in ogni regime, sono sempre passati solo i figli dei devoti, devoti a loro volta: concorsi, posti di lavoro privilegiati, licenze facili. L’aristocrazia rossa metteva al rogo tutto ciò che non era omologato, dai libri alla musica, persino chi non era contrario, ma neanche osannante i micro-scioviet locali. Del resto, i pochi esclusi da questo circolo dei migliori erano in gran parte democristiani in cerca di piccole raccomandazioni dagli avversari ai quali occhieggiavano fino alla paralisi palpebrale. Il cattocomunismo per loro era colazione, pranzo e cena. Alla messa per il patrono San Geminiano, il sindaco era nel primo banco, e il Cremlino era informato: lui lo faceva a fin di bene. Socialisti pre-craxiani divisi fra quelli che preferivano stare in giunta a raccogliere briciole e quelli che aspettavano l’alba del sol dell’avvenire. Ai missini, democraticamente, non era concessa Piazza Grande per i comizi, mentre le tre mezze ali, Pri, Psdi e Pli stavano in una gabbietta come gli uccellini rari: non contavano niente, ma nessuno torceva loro una piuma, e, anzi, qualcuno lanciava loro persino un po’ di becchime.

In periferia, invece, i vecchietti erano chiamati a raccolta in garage e grandi cantine condominiali per le riunioni del Partito. Dovevano rinunciare a Pippo Baudo, portarsi da casa la sedia impagliata, applaudire sempre e comunque il compagno della federazione di Modena, e vederlo come un sciòviet sciupremo, perché i livelli più alti di lui si potevano ammirare solo in televisione. Ovviamente, nessun dibattito. Al massimo, domande a cui lo statista non risponderà, avendo già la conclusione pre-stampata e fotocopiata dalla sede. A Modena il sistema non è cambiato, anche se sono cambiate le sigle dei partiti. La mentalità è la stessa, ma si può dire Russia, diventata una grande democrazia, in cui ai giornalisti si alleggerisce il lavoro dotandoli delle stesse veline, dettate dallo stesso comunista del Kgb che ha cambiato due dei tre colori della bandiera, fingendo di ripristinare quella originale. Ora tutti commentano, sono certi di attribuire colpe e ragioni, anche se la situazione è talmente intricata che l’esercito dei leoni da tastiera preferisce semplificare. Ma tutti gli attori di questa tragedia vengono da terre che hanno vissuto mezzo secolo in una situazione in cui il concetto di libertà non è mai stato nemmeno ventilato. E tuttora, anche se sono giovani, vivono in un regime identico, ma ridenominato. Come si fa in Italia per placare le coscienze rispetto alle ingiustizie che nessuno vuole sanare.

Aggiornato il 09 marzo 2022 alle ore 10:35