Berlusconi e le lacrime di coccodrillo della sinistra

Cari compagni del Partito Democratico e dintorni, vogliamo dirvelo: siete incredibili. La vostra smania di potere, gonfiata con dosi stratosferiche di arroganza, ha rovinato l’Italia eppure continuate imperterriti a rigirare a piacimento le frittate della storia perché cadano sempre dal verso giusto: il vostro. Ora che il confine orientale dell’Europa sta esplodendo vi viene in mente che, sì, Silvio Berlusconi potrebbe fare qualcosa per convincere Vladimir Putin a togliere il dito dal grilletto della pistola puntata alla tempia dell’Ucraina e dell’Europa. E adesso ve ne accorgete che il vecchio leone di Arcore, da Capo dello Stato, sarebbe stato utile alla causa della pace con la Russia molto più di quanto lo sia l’odierno inquilino del Colle? La vostra miopia nel dichiarare il fondatore di Forza Italia politico divisivo e nello sbarrargli la strada per il Quirinale non è stata semplicemente autolesionista per gli interessi nazionali, perché ispirata da un meschino pregiudizio ideologico: è stata criminale. Non bisogna necessariamente compiere delitti perché taluni comportamenti siano classificabili come criminali.

Come sentenziava Edmund Burke: perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione. E voi, che “buoni” lo siete per definizione, avete rinunciato a fare la cosa giusta al momento giusto. E avete anche la faccia tosta di ammetterlo a babbo morto, complimenti! Filippo Sensi, che nel Partito Democratico non è l’ultimo arrivato, scrive sul suo blog “Nomfup”: “Diciamo così: che se Berlusconi trovasse due minuti per una telefonata a Putin, secondo me non sarebbe una idea sbagliata”. Bene, bravo, sette più. La storia non è fatta di “se” purtuttavia, come diceva qualcuno, i “se” aiutano a capire la storia. Non possiamo giurarci ma, con Berlusconi al Colle, la crisi russo-ucraina non si sarebbe drammaticamente avvitata come sta accadendo in queste ore. Perché il “Cav” ha un rapporto personale forte con il leader russo? Può darsi. Verosimilmente, a fare la differenza con i nani in circolazione sulla scena politica europea sarebbe stata la consolidata esperienza del vecchio leone di Arcore nelle relazioni ai massimi livelli dei governi delle potenze globali, maturata negli anni.

La prima volta di Berlusconi al tavolo dei grandi della Terra è stata al G7 di Napoli, nel 1994. Riguardate la photo opportunity delle giornate partenopee e vi renderete conto di come non sempre gli epigoni siano all’altezza dei predecessori. Se giocassimo a misurare a spanne il divario di qualità tra quelli di prima e quelli di dopo sarebbe un pianto. Nel 1994, per la Commissione europea c’era Jacques Delors, oggi c’è Ursula von der Leyen, e non vuole essere una battuta sessista. C’era Bill Clinton, del quale si possono dire molte cose poco lusinghiere a cominciare da sua moglie, la signora Hillary, ma che fosse un gigante politico rispetto all’odierno inquilino della Casa Bianca, nessuno lo mette in discussione. Oggi c’è il piccolo, patetico Emmanuel Macron.

Nel 1994 al fianco di Berlusconi, per la Francia, c’era un tale François Mitterrand: il nome vi dice niente? E c’erano Helmut Kohl per la Germania e Boris Eltsin per la Russia. Due pesi massimi, in tutti i sensi. Per un imprenditore fresco di salto in politica, cominciare con quei calibri mondiali è stato come per un cantante esordire nella lirica direttamente alla prima della Scala. E a uno del genere gli si sbatte la porta in faccia, accusandolo di non essere all’altezza, di essere divisivo, salvo accorgersi che non sarebbe male averlo in campo per togliere le castagne dal fuoco non solo all’Italia ma all’intero cucuzzaro dell’Unione europea?

Non ci sono parole, cari compagni del Pd e dintorni, per manifestarvi il disgusto per quel che avete combinato con l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ed è ancora più sentito il nostro livore perché, come iscritto nel vostro Dna da utili idioti dell’europeismo anti-italiano vi siete spellati le mani ad applaudire il grottesco tentativo di Emmanuel Macron di ergersi a supremo mediatore tra il Cremlino e la Casa Bianca. Ma come non capire in partenza che sarebbe stato un flop? Sarebbe mai possibile per Vladimir Putin, il cui apparato di potere interno non fa mistero di coltivare simpatie e anche qualcosa di più per Marine Le Pen e il suo Rassemblement National, concedergli un successo diplomatico a due mesi dalle elezioni presidenziali da spendere contro la sua più temibile avversaria: appunto, Marine Le Pen? Putin è uno scacchista e si sta divertendo un mondo a muovere le pedine su una scacchiera, l’Europa orientale, ai danni di avversari che riescono a incartarsi da soli.

Il punto di caduta, dal primo istante nel quale si è riaccesa la crisi russo-ucraina, sarebbe stato il negoziato. Lo voleva Putin e altrettanto desideravano, nel campo di Agramante, i capi dei governi dell’alleanza occidentale. La chiave di volta della soluzione della crisi resta nell’assunzione, da parte statunitense e degli Stati europei, di una parte delle ragioni addotte dal leader russo. Bisognava da subito accantonare la pretesa di avviare la trattativa avendo prima stretto nell’angolo l’interlocutore. Era evidente che Putin non si sarebbe fatto mettere alle corde. E, infatti, con la mossa da tempo preparata di riconoscere le regioni separatiste di Donetsk e Lugansk, il giaguaro del Cremlino è uscito dall’angolo e ha ribaltato la scena. Ora alle corde sono finiti i balbettanti leader europei che nei pronunciamenti a favore dell’integrità nazionale dell’Ucraina usano toni stentorei, salvo poi nei fatti a mostrarsi timorosi nel decidere le sanzioni contro Mosca. La verità è che l’Europa dipende troppo dal gas russo per permettersi il lusso di fare la voce grossa. Putin ha messo in conto la reazione occidentale ma non se ne cura: la minaccia di sanzioni non gli provoca neanche più il solletico da quando ha deciso di giocare su due tavoli, a ovest con l’Europa e a est con la Cina.

La rigidità dell’Amministrazione democratica statunitense nell’approccio al dossier Russia è stato un errore strategico dalle incalcolabili conseguenze per il futuro prossimo dell’Occidente avanzato, perché ha spinto l’autocrate russo tra le interessate braccia di Pechino. Per scongiurare l’instabilità del quadro continentale è fondamentale che la Russia torni a essere un soggetto attivo all’interno delle dinamiche europee, mentre uno scivolamento a oriente del baricentro politico del player russo ne farebbe la testa di ponte delle mire espansionistiche cinesi sull’Europa. Ma per riportare Vladimir Putin nei ranghi del confronto pacifico e costruttivo con l’Ovest sarebbe occorsa l’apertura di un dialogo coraggioso, allargato a tutti gli aspetti che preoccupano il Cremlino, rimasti irrisolti dalla fine della Guerra fredda. C’è da augurarsi che vi sia ancora tempo e spazio per porvi rimedio. Ma se si vuole che l’amputazione dell’Ucraina non si cronicizzi com’è avvenuto con la crisi in Georgia, serve avviare un confronto a tutto campo che abbia come obiettivo finale la ridefinizione degli equilibri geostrategici lungo la dorsale che corre dalla regione caucasica fino all’Artico. Occorrono idee e uomini che abbiamo la mente aperta.

Berlusconi avrebbe potuto avere un ruolo nella partita in corso, visto che Mario Draghi, assente ingiustificato dalla scena internazionale di queste ore, non lo smuovono neppure le cannonate a prendere un’iniziativa di dialogo con il Cremlino. Eppure, da Mosca hanno fatto sapere che un interessamento italiano non sarebbe stato sgradito. E noi come abbiamo risposto? Gli abbiamo mandato Luigi Di Maio. Praticamente, una presa per i fondelli. É normale che poi si dica: se ci fosse Silvio. Ma Silvio non c’è perché non ce lo avete voluto. E pace.

Aggiornato il 24 febbraio 2022 alle ore 10:31