Guerre finte, morti veri

Purtroppo è già accaduto molte volte e la verità si è saputa anni dopo. Molte guerre anche nel recente passato sono accadute poiché basate su menzogne all’origine. Un’aggressione inventata ai danni di una nave americana nel golfo del Tonchino nel 1964 consentì al presidente Lyndon Johnson di accusare il governo nordvietnamita e di aumentare la presenza statunitense nel Vietnam del Sud, iniziando l’escalation che avrebbe portato alla guerra del Vietnam con la sua drammatica contabilità di due milioni tra morti e feriti.

Nel 1973 la strana guerra dello Yom Kippur. Tre divisioni corazzate egiziane ammassate ai confini di Israele inspiegabilmente sfuggirono all’attenzione dei più efficienti servizi segreti del mondo. Israele fu attaccato ma dopo iniziali insuccessi ribaltò la situazione e neutralizzò il nemico. Caso unico nella storia militare che un vincitore conceda un territorio allo sconfitto, negli accordi che conseguirono, il Sinai conquistato nella precedente guerra dei Sei Giorni fu restituito. La benzina in quell’anno in Italia aumentò da 100 a 400 lire, nel mondo altrettanto, con grande soddisfazione dei petrolieri americani, dei produttori arabi e dei banchieri israeliani.

Venendo a tempi più recenti Bush padre, profondamente preoccupato dell’indipendenza del Kuwait, attaccò l’Iraq in quella che venne denominata la prima guerra del Golfo. Per giustificare la seconda la storia delle armi chimiche inventata da Bush junior e dal fedele alleato britannico parve poco probabile anche agli osservatori meno puntigliosi. Commissioni parlamentari appositamente costituite in seguito appurarono i finti presupposti. Più reali furono le conseguenze: 150mila morti di cui 90mila civili iracheni, dodici milioni di disoccupati, un’area ancora adesso totalmente destabilizzata.

La repressione armata con cui Gheddafi rispose alle sommosse popolari scoppiate in Libia sull’onda dei moti di protesta più generalizzati che coinvolsero vari Paesi arabi del Mediterraneo fu l’occasione per Francia, Usa e Inghilterra per eliminare un capo di Stato che stava avvicinandosi troppo al nostro Paese, scompigliando la politica energetica di quella regione. Anche in questo caso i danni dell’operazione sono ancora sotto gli occhi di tutti.

Ora, dopo un quadriennio in cui Stati Uniti avevano abbandonato il principio della “responsabilità di proteggere” in base al quale era considerato lecito intervenire in quei Paesi ove si verificavano presunte violazioni dei diritti umani, siamo di fronte a un nuovo possibile conflitto, di difficile comprensione. Da settimane fonti diplomatiche e d’intelligence Usa ci spiegano come l’invasione ucraina da parte della Russia sia ormai imminente. Mai nella storia militare ci sono stati così tanti avvertimenti, sempre smentiti da parte russa, e mai in precedenza era stata comunicata addirittura la data precisa dell’attacco.

Il motivo principale additato ai russi è legato al possibile ingresso dell’Ucraina nella Nato, anche se al momento non risulta che alcuna richiesta sia stata formalizzata da parte dell’Alleanza atlantica. La Russia non vuole assolutamente che ciò accada, perché si ritroverebbe senza Stati cuscinetto a protezione di Mosca. Secondo l’intelligence Usa, la Russia avrebbe ammassato circa 130mila unità al confine con l’Ucraina con il preciso obiettivo di attaccare il Paese confinante e conquistare la capitale Kiev in pochi giorni. Gli Usa hanno già inviato tremila militari nell’Est Europa, messi in allerta altri ottomila e spedito armi a Kiev.

La strategia bellica russa non è oggettivamente comprensibile: se un attacco è stato pianificato, perché attendere tanto tempo quando le armate ai confini sono in movimento da mesi. L’altissima tensione al momento ha comunque causato i primi evidenti risultati: petrolio e gas alle stelle, problemuzzi interni all’Amministrazione Usa passati in secondo piano. Speriamo che basti così e non si vada oltre sconfinando in una guerra che il mondo non capirebbe.

Aggiornato il 15 febbraio 2022 alle ore 09:28