Covid: è tutto giuggiole e buonumore

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che questo virus è imprevedibile e che corre più veloce delle nostre elucubrazioni statistiche. Dovrebbe essere chiaro ma evidentemente non lo è: fino alla metà di gennaio erano tutti preoccupati per la pericolosa impennata degli indici, per la situazione nelle scuole e per la progressiva pressione (sebbene ancora non esagerata) sul sistema sanitario.

Verso la metà di gennaio (e da un giorno all’altro) la narrazione è improvvisamente cambiata. La politica ha repentinamente cambiato le parole d’ordine parlando di ripresa, di uscita dal tunnel pandemico, di abolizione dell’obbligo delle mascherine e di progressivo abbandono del Green pass. Ovviamente lo ha fatto trovando una valida stampella (come sempre nell’epoca di Mario Draghi) nei virologi da salotto televisivo, nei mezzi di informazione e nei soliti provocatori alla Renato Brunetta, al quale non deve essere sembrato vero di poter tuonare anacronisticamente contro i fannulloni che devono tornare in presenza, come se non si stesse parlando di lavoratori ma di furbi da punire ben sapendo che la presenza non è indice di produttività (anzi). Forse deve aver influito anche il partito trasversale degli aperturisti che è comprensibilmente esasperato.

Un’euforia collettiva, quasi una ritrovata serenità che puzzano tanto di tesi costruita a tavolino: com’è possibile che l’interpretazione dei dati sia cambiata da un giorno all’altro? In fin dei conti non è la prima volta che le curve pandemiche si mostrano ballerine. In tutti gli altri casi siamo stati invitati alla prudenza, mentre adesso c’è ottimismo immemore del fatto che, a ridosso dell’estate, provammo ad allentare un po’ la corda e ne pagammo le conseguenze a settembre. Si badi bene, non stiamo giocando a fare gli statistici e neppure i virologi laureati “all’università della vita”. Stiamo solo dicendo che la diversità di approccio ai dati rispetto al passato ci insospettisce. E ci induce a pensare, in maniera rozza e semplicistica, che o ci stanno fregando adesso oppure ci hanno fregato quando facevano i rigorosi.

Il tutto nonostante che Abdi Mahamud dell’Organizzazione mondiale della Sanità definisca Omicron come una variante preoccupante (e sottovalutata), trovando poca eco nella stampa e terreno tutt’altro che fertile in gran parte della Comunità scientifica, che evidentemente ha altri messaggi da veicolare. Noi un’opinione in realtà ce la siamo fatta, anche se ci auguriamo di aver preso una cantonata: in questo momento la preoccupazione principale è quella economica. Ragion per cui qualcuno reputa necessario veicolare messaggi di ripresa, rischiando un po’. La decisione – come tutto ciò che si fa quando si è a un bivio – non è sbagliata. È semplicemente una decisione i cui effetti si vedranno col tempo.

Ciò che invece è sbagliato è la “fictio operis” che ammanta la decisione. Sarebbe bastato raccontare la verità, addurre l’esigenza di ripresa e usare buon senso. Buon senso inteso come prudenza: tacitare Renato Brunetta, limitare al massimo l’accesso ai luoghi di lavoro per chi può produrre da casa (succede già nel privato e – pandemia o no – è il futuro), agire finalmente sui mezzi pubblici e sulle scuole, eliminare le imposizioni anti Covid inutili che indispettiscono i cittadini e mantenere quelle sensate. Verità e buon senso alla lunga pagano sempre. Qui invece è tutto giuggiole e buonumore.

 

Aggiornato il 14 febbraio 2022 alle ore 09:59