Riforma della giustizia: occasione storica

Quella della riforma della giustizia è un’occasione storica da non mancare. Ed è anche una corsa contro il tempo. A luglio sarà rinnovato il Consiglio superiore della magistratura e si dovrà approvare un nuovo sistema elettorale dei membri togati. Nella primavera del 2023 ci saranno le elezioni politiche. Il 10 febbraio la Corte costituzionale si pronuncerà sull’ammissibilità dei sei referendum sulla giustizia proposti dalla Lega, dai radicali e da 9 Consigli regionali. Non c’è molto tempo e sarebbe necessaria una mobilitazione straordinaria delle forze politiche in qualche modo liberali perché in questa fase ci sia una sensibilizzazione dell’opinione pubblica, che finora non c’è stata. I grandi media sembrano chiaramente intimiditi dai pm e sono incredibilmente poco sensibili ai temi della giustizia e indifferenti all’occasione storica che questa fase politica presenta. Ci voleva il Mattarella II per svegliarli un po’, ma ancora non basta.

Solo ora con il tardivo impulso di Sergio Mattarella, sembrano maturate le condizioni politiche per fare – in fretta ed in pochi mesi – quello che non si è fatto in quasi 40 anni; da quando cioè, con l’arresto e la persecuzione giudiziaria di Enzo Tortora del giugno 1983, emerse il bubbone del potere eccessivo ed irresponsabile (in tutti i sensi) delle Procure. Emerse allora il bubbone di pm che potevano perseguitare senza prove né indizi per anni un cittadino innocente per mero protagonismo e strategia mediatico-accusatoria. E senza mai essere chiamati a rispondere. Il caso Tortora fu seguito nel 1987 da un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati che fu approvato con l’80 per cento dei suffragi. Poi una legge sciagurata, approvata sotto le pressioni della casta dei magistrati e di forze politiche conservatrici, vanificò il risultato elettorale. Da allora in poi il potere dei pm è divenuto inarrestabile ed ha invaso e fagocitato gran parte di tutti gli altri poteri, grazie alla sua illimitata facoltà di privare della libertà i cittadini, senza rispondere a nessuno, tranne che al Csm, che gli stessi pm controllavano attraverso il gioco delle correnti e che sistematicamente li assolveva (se facevano parte di una corrente di maggioranza).

Solo il potere del Capo dello Stato, capo della Magistratura e delle Forze armate (e quindi anche dei carabinieri) poteva limitare quello del “Partito dei pm”, l’unico potere “armato” in quanto a capo della polizia giudiziaria. Ci provò Francesco Cossiga quando il 14 novembre del 1991 dovette mandare un reparto dei carabinieri in assetto anti-sommossa a Palazzo dei Marescialli per mettere in riga i suoi componenti togati che volavano imporre, contro la sua volontà, un ordine del giorno tutto politico contro Bettino Craxi.

Cossiga fu allora isolato da miopi forze politiche, compreso il suo stesso partito: la Democrazia cristiana. Il loro declino cominciò allora e fu una progressiva cessione di potere al Partito dei pm politicizzati ed organizzati. I Presidenti della Repubblica che gli sono succeduti si sono tutti disinteressati del problema anche perché il loro partito di riferimento, il Pci-Pds-Pd, ha creduto a lungo di poter usare a proprio favore il potere dei pm per esercitare un diritto di veto e di interdizione su chi dovesse andare o restare al Governo e chi no. Il caso delle persecuzioni giudiziarie contro Silvio Berlusconi è paradigmatico.

È stata la storia degli ultimi 40 anni durata fino alla fine del primo settennato di Mattarella, durante il quale le sue timide parole sulla questione giustizia significavano in sostanza continuità con la “distrazione” dei suoi predecessori. Ora le parole con cui lo stesso Mattarella ha inaugurato il suo secondo mandato sembrano indicare che si sia al momento storico di una svolta. Mario Draghi a presidente del Consiglio e Marta Cartabia a ministro della Giustizia, sembrano completare il quadro di un’occasione storica da non mancare per far rientrare nei ranghi i pm politicizzati. E per fare uscire l’Italia dal novero delle democrazie semi-liberali. L’Italia è oggi infatti una democrazia giudiziaria, in cui un semplice funzionario dello Stato come è un pm, può invadere tutti gli altri poteri dello Stato e arrestare arbitrariamente e far rimanere in galera cittadini innocenti per anni, senza mai pagare per colpe, errori gravi, negligenze inescusabili, illogicità, doppi pesi e assoluta ignoranza delle stesse norme del diritto. Con buona pace della certezza del diritto e della fiducia dei cittadini comuni nel sistema giudiziario. I partiti della sinistra hanno permesso ai pm politicizzati di trasformare l’indipendenza della magistratura in arbitrio assoluto e cioè non soggetto ad alcuna responsabilità. È l’ora di una svolta. I liberali devono fare sentire la loro voce.

 

Aggiornato il 07 febbraio 2022 alle ore 09:27