Il giuramento del Capo dello Stato è previsto dalla Costituzione e avviene dinanzi al Parlamento che lo ha eletto con lo scopo di suggellarne formalmente l’impegno assunto. Esso rappresenta il momento da cui decorre il mandato presidenziale e parrebbe che senza di esso l’incarico non possa prendere inizio.

Può essere interessante chiedersi per quale ragione un Presidente della Repubblica chiamato ad un secondo mandato e, pertanto, in continuità di incarico debba di nuovo giurare come se terminato il settennato decadesse il vincolo del precedente giuramento rendendo quest’ultimo sempre più un contratto anziché un dovere etico e morale.

Il giuramento è esplicitamente richiesto al Presidente della Repubblica in quanto esso riceve il mandato dal Parlamento e pertanto è a questo legato da vincoli profondi di responsabilità costituzionale che possono essere fatti valere dal Parlamento stesso in via penale attraverso il giudizio per attentato alla Costituzione, qualora questa venga violata. Violazione ovviamente perseguibile al di là del rinnovo del giuramento.

Se la fedeltà repubblicana e la lealtà costituzionale formano il nucleo contenutistico e valoriale di tutti i giuramenti dei pubblici funzionari il giuramento previsto dall’articolo 93 della Costituzione è sicuramente classificato come un “giuramento costituzionale” della più alta specie ma non può contemplare il caso di un Presidente rieletto in quanto la Carta, pur non escludendone la possibilità, non la prevede espressamente.

Il fatto che un Presidente della Repubblica confermato nell’incarico debba ripronunciare la formula del giuramento allontana il rito dalla sacralità che un tempo lo caratterizzava.

Non solo, quando ci si accinga a considerare il dovere di fedeltà alle Istituzioni come dovere morale, non si dovrà scomodare Kant per ammettere che esso nasce nell’animo umano e che dunque esisterà solo nella misura in cui venga percepito come tale dal soggetto, senza necessità di formalizzarlo nuovamente in una formula.

In quanto dovere morale, esso si fonda cioè su una norma rigorosamente interiore e dall’adesione profonda e convinta a particolari principi e valori. A differenza della norma giuridica, la quale, avendo come oggetto il comportamento, può essere osservata per più ragioni differenti tra loro ed essere seguita senza essere assentita, la norma morale, in quanto interiore viene per sua stessa natura osservata solo in quanto vi sia una convinzione dell’uomo.

Il dovere di fedeltà non disgiunto dal dovere morale, a prescindere dai contesti giuridici e politici di riferimento potrà manifestarsi senz’altro come un dovere di osservanza delle norme poste a presidio del sistema. Se il dovere giuridico già manifestatosi con un primo giuramento è stato già ottemperato perché richiedere una conferma dello stesso e, conseguentemente, della moralità del Presidente eletto.

A più bassi livelli funzionali, ad esempio, ad un ufficiale delle Forze armate richiamato dal congedo, non viene richiesto un nuovo giuramento. Forse è giunto il momento di un aggiornamento della Costituzione riguardante anche questo aspetto affinché il giuramento assuma una fisionomia meno contrattualistica a favore di una matrice più permeata da sacralità.

Aggiornato il 04 febbraio 2022 alle ore 11:24