I delitti del bar centrodestra

Togliamoci subito il pensiero e facciamo immediatamente la considerazione che fanno un po’ tutti in questi giorni: dopo le vicende quirinalizie che hanno visto la riconferma di Sergio Mattarella, il centrodestra è morto. Matteo Salvini è quello che è morto più degli altri visto che, dal Papeete in poi, non ne ha azzeccata una. La dimostrazione plastica delle sue carenze tattiche in tema di guerriglia parlamentare risiede nella sconsideratezza con cui è uscito dalla trincea, assaltando con il bastone della scopa il fronte nemico armato fino ai denti. Alle scuole elementari della politica ti insegnano una cosa fondamentale: se non hai i numeri per fare da solo, allora devi trattare e se vuoi trattare, fallo nel massimo riserbo e possibilmente senza esporti o bruciare nomi. Esattamente il contrario di ciò che ha fatto il segretario della Lega.

Giorgia Meloni dal canto suo aveva una parte ben precisa da rispettare: quella dell’anima candida senza macchia e senza compromesso che, nel nome dell’ideale, non arretra di una virgola. Il copione lo ha recitato senza intoppi, ben sapendo che, in perfetta continuità con la storia gloriosa del Movimento Sociale italiano, si sarebbe condannata a fare la perdente di successo, perennemente all’opposizione, senza macchia (perché all’opposizione), senza prospettiva di Governo (perché all’opposizione) e con le mani pulite (indovinate perché?). Una strategia vincente in termini elettorali (farà il pieno di voti alle prossime elezioni) ma senza sbocchi gestionali (che è poi la cosa a cui aspira chi vuole servire il proprio Paese).

Qualcuno dice che il centrodestra sia morto molto prima che montassero i catafalchi alla Camera: la morte parrebbe risalire ai candidati scelti a pene di segugio in occasione delle Amministrative, alla mancanza di dialogo tra alleati, all’assenza di una strategia comune o di un progetto alternativo. L’andatura in ordine sparso degli ultimi anni sarebbe la prova regina del decesso. Ma secondo noi il discorso non è questo e l’autopsia sul cadavere ci interessa il giusto.

Il discorso a nostro avviso più interessante risiede in due domande: cosa accadde al momento della votazione sulla quirinabilità della presidente del Senato e perché Forza Italia – il suo partito – non votò compattamente la seconda carica dello Stato? E perché anche Giuseppe Conte volle sfilarsi all’ultimo dopo aver raggiunto l’accordo? Unendo i puntini, viene fuori uno strano disegno a forma di balena bianca, una sorta di seconda gamba della coalizione Ursula. Come diceva Giulio Andreotti, a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si indovina: tutto porta al grande centro.

Per creare un contenitore di centro era necessario marginalizzare la destra ex missina (fatto), disarticolare lo strapotere mediatico salviniano mandandolo a sbattere più fragorosamente di quanto non riesca a fare già da solo (fatto), scomporre le aggregazioni nate dalla cosiddetta vocazione maggioritaria di veltroniana memoria (fatto) e poi creare un centro alleato con la sinistra o comunque con chi ci sta (da fare). Silvio Berlusconi, Matteo Renzi (che ne cannibalizzerà la leadership), Giuseppe Conte (in libera uscita dai Pentastar), Carlo Calenda, gli ex centristi della galassia della Democrazia Cristiana sopravvissuti ad Angelino Alfano, pezzi del Partito Democratico provenienti dalla Margherita relegati in posizione asfittica, i sempreverdi amici di Lorenzo Cesa e Pierfurby Casini, tutti appassionatamente in un contenitore che punta al venti per cento.

Questo disegno (oltre all’incapacità politica di chi siede in Parlamento) è l’unica spiegazione a ciò che accadde in quella famosa votazione con protagonista Maria Elisabetta Alberti Casellati. E spiegherebbe anche l’immobilismo al limite del beota da parte di Enrico Letta, l’iperattivismo di Matteo Renzi, il possibilismo strabico di Antonio Tajani, il ritiro improvviso e insolito di Silvio Berlusconi, il gesto fintamente elegante di Pier Ferdinando Casini che fungeva da agente disturbatore e la presenza di Giuseppe Conte a tutti i tavoli di trattativa. Il gioco, in perfetto acume democristiano, era pronto da tempo ed è andato a buon fine.

La legge elettorale proporzionale esiste e nessuno osa nemmeno metterla in discussione, a riprova del fatto che l’operazione sia perfettamente riuscita. Resta da appurare se il matrimonio realmente sarà consumato e se la somma di tante debolezze dia realmente vita a una terza forza. Ma gli indizi ci sono tutti e una nuova “maggioranza ombra” siede già in Parlamento. Scacco matto.

Aggiornato il 02 febbraio 2022 alle ore 09:23