Segnatevi la data del 29 gennaio 2022. Perché tra qualche decennio, di fronte al proverbiale camino acceso, potrete spiegare ai vostri nipoti (pronti a fare di tutto per non ascoltarvi) che quello è il giorno in cui il centrodestra è morto. Almeno il centrodestra che avevamo conosciuto fino a quel momento: una coalizione sgangherata e spesso rissosa che si faceva però forte del fatto di rappresentare la maggioranza strutturale degli elettori italiani.
Noi, quel centrodestra, lo abbiamo visto nascere. Era l’autunno del 1993 quando Silvio Berlusconi (anche per interessi suoi, sia chiaro), ebbe l’illuminata intuizione di allearsi al nord con la Lega e al centrosud con il Movimento Sociale Italiano, che da lì a poco si sarebbe trasformato in Alleanza Nazionale, mettendo un chilo di zucchero nel serbatoio della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, che era sull’orlo di prendersi il Paese dopo che gli amici del pool di Milano avevano fatto strage di tutti i loro avversari politici.
Noi, quel centrodestra, lo abbiamo visto vincere – contro ogni pronostico – nella sua prima uscita elettorale. Era il pomeriggio del 28 marzo, un lunedì, quando il direttore Arturo Diaconale mi chiamò nella sua stanza per dirmi, con un sorriso sornione: “Andrea, comincia a scrivere il pezzo senza le percentuali precise. Abbiamo vinto”. Io non potevo crederci. Ma naturalmente aveva ragione Arturo. E qualche ora dopo, migliaia di simpatizzanti avevano invaso Piazza del Popolo sventolando increduli le copie de “L’Opinione” che eravamo riusciti a stampare prima di tutti gli altri giornali. Il titolo di prima pagina era: “Ha vinto la Libertà”.
Sono passati quasi trent’anni da quel giorno. E forse è normale che, come tutte le cose della vita, anche le coalizioni politiche siano destinate a morire. C’è modo e modo di farlo, però. Si può morire con uno sfrontato sorriso di fronte ai propri carnefici. O di morte naturale, nel tepore del proprio letto. Si può perfino morire in un improbabile e maldestro tentativo di fuga. Ma il 29 gennaio, giorno della rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, il centrodestra ha scelto di morire nel modo più deprimente e imbarazzante per i propri elettori.
Mettiamo una cosa in chiaro. Della figura di merda galattica (perdonate il francesismo) fatta dai leader e dai peones dei partiti che componevano l’alleanza, ci interessa assai poco. Il cuore si stringe solo perché pensiamo all’imbarazzo di chi, in tutti questi decenni, ha regalato il proprio voto a un’idea, un’aspirazione, un sogno. Quello di trasformare l’Italia in una nazione moderna ma radicata nelle proprie tradizioni, immune alle perversioni stataliste della sinistra peggiore d’Europa e fiera di essere sempre stata – fin dal 1948 – dalla parte giusta della Storia.
Ecco, questi italiani non meritavano di assistere allo spettacolo osceno di questi ultimi giorni, che i nostri ottimi editorialisti analizzeranno compiutamente e (mi immagino) senza sconti. Il mio è solo, per citare Jim Morrison, un “canto di dolore e libertà”. Il centrodestra è morto, viva gli elettori del centrodestra. Che ormai si trovano di fronte a un punto di ricaduta obbligato. Dare una possibilità al leader che, in questo spettacolo macabro, si è comportato con un briciolo di dignità: Giorgia Meloni.
Ora, Fratelli d’Italia può scegliere se diventare, finalmente, il partito che era stato progettato alla sua nascita: un luogo d’incontro tra tradizione e libertà. Aprendosi a un nuovo innesco di classe dirigente e abbandonando per sempre gli spazi angusti in cui, a volte, sembra volersi rifugiare. Se Giorgia Meloni non si dimostrasse all’altezza di questo compito, oggettivamente oneroso, che il destino le ha riservato, rimarrebbe solo il “piano B”. I liberali del centrodestra saranno obbligati a mettere in piedi una formazione politica alleata con Fratelli d’Italia, rivolgendosi agli elettori che si sentono distanti da FdI e che fino a ieri hanno votato per Forza Italia e Lega. Due partiti che, insieme a centrini e cespugli numericamente irrilevanti, alle prossime elezioni conosceranno sulla propria pelle la rabbia del proprio elettorato. Tertium non datur.
Aggiornato il 01 febbraio 2022 alle ore 09:19