L’emergenza infinita

Si vorrebbe parlare di qualcos’altro, ma la quotidiana dose di allarmismo mediatico, a giustificazione di provvedimenti passati, presenti e futuri, gravemente restrittivi della nostra libertà, non lascia scampo e ci conduce necessariamente dentro quella sola questione, che assorbe tutte le energie dei mass media italiani da due anni a questa parte, con assiduità sconvolgente. Quel solo problema che grava sulla nostra esistenza; quella sola malattia di cui sembra occuparsi il Sistema sanitario nazionale; quell’unica causa dei ricoveri; quel virus che fiacca il nostro spirito, ancor prima di infettare il nostro corpo: il famigerato Covid-19, di origine cinese che nessuno chiama cinese, per rispetto a Xi, la cui lettera nell’alfabeto greco pare sia stata dimenticata perfino dall’Oms per virare sulla più rassicurante Omicron. Fosse mai che qualcuno, nell’Impero celeste, se ne adombri!

Il bollettino di guerra, come ogni santo giorno, annuncia nuovi morti; si prefigurano nuove ondate di contagi; nuove varianti del virus resistenti ai vaccini bussano alle porte; insomma, una sorta di catastrofe, che si vuole universale, ma a me sembra particolarmente “italiana”. Non credo proprio che presso tutti i popoli del mondo l’opinione pubblica sia sottoposta ogni giorno a un lavaggio di cervello similare. E se devo dirla tutta, a me pare questa la vera catastrofe: la perdita del senso della misura e l’eclissi totale del buon senso, di cui pare preda l’intera nazione italiana, corrosa dalla paura. Annichiliti dalla prospettiva di una letalità dello zero virgola, immersi nello stordimento quotidiano, fatichiamo a porci le domande essenziali, che non vertono tanto, a mio giudizio, sull’efficacia di questa o quella misura, quanto sul perché finale di cotanta “prevenzione” sanitaria. Il rischio zero è un obiettivo realisticamente perseguibile oppure una delle tante utopie della storia umana, latrici di immani sciagure? E seppure fosse perseguibile, quale prezzo dovremmo pagare alla nuova divinità della sicurezza “preventiva” assoluta?

Non sono un esperto e faccio male pure i conti della serva. Constato solamente che il panel dei grandi esperti aveva fissato prima nel 70 per cento dei vaccinati, poi nell’80 per cento quella soglia di sicurezza, che ci avrebbe ricondotto alla normalità della vita di relazione. Oggi non pare sufficiente la quota del 90 per cento e domani non lo sarà nemmeno quella del 100 per cento, posto che anche i vaccinati non sono esenti dai possibili contagi, attivi e passivi.

Sarà necessario fare il tampone ogni 48 ore e sarà necessaria la mascherina all’aperto. Non sarà sufficiente il Green pass, né il Super Green pass; sarà necessaria una scheda personale in cui saranno annotate le nostre caratteristiche genetiche, ma anche le abitudini di vita, giacché si sa che il rischio di malattia è collegato allo stile di vita. Dovremo fare come Angelina Jolie, che si è liberata dell’impaccio del suo seno per eliminare il rischio del tumore. Dovremo liberarci dell’impaccio di scegliere in libertà, per eliminare il rischio di sbagliare.

A me pare questa la triste prospettiva prefigurata dalla nuova ideologia securitaria. Il cittadino cede quote progressive di libertà certa e attuale, per acquisire quote di sicurezza probabilistica e virtuale. Lo scambio – tra l’attuale e il virtuale – sarebbe poco allettante per chicchessia in condizioni di “normalità”, ma diventa accettabile e perfino gradito per chi è immerso giornalmente nell’universo del terrore, destinato a durare a tempo indeterminato, ma descritto come provvisorio e transeunte. “Emergenza” è la parola magica che mette tutti a tacere, giacché designa uno stato di necessità, legato tuttavia a un lasso temporale circoscritto. Peccato che in Italia le emergenze, vere o presunte, siano durevoli ben più delle regole della normalità, particolarmente inclini alla mutevolezza. E quand’anche la cosiddetta “emergenza” dovesse eccezionalmente perire, in verità ne sopravviverebbe l’erede, ossia la variante Alfa, Beta, Gamma o Delta della defunta. E allora il vero problema è se gli italiani siano disposti a vivere in perenne emergenza.

Una cosa pare certa, nel mare magnum dell’opinabilità più o meno “scientificamente” fondata: che dobbiamo abituarci a convivere col virus attuale e con quello venturo. L’eradicazione del virus piena e totale è un traguardo irraggiungibile; niente più che un’utopia, non diversa dal “paradiso in terra”. Se non possiamo avere il “paradiso” qui e ora, non possiamo non convivere coi mali di questa terra. E dunque dobbiamo uscire dalla logica emergenziale. Non possiamo rinunciare alla nostra libertà, in nome di un livello di sicurezza irraggiungibile. Il “bene comune” non è contrapposto alla “libertà individuale”, per la semplice ragione che è la somma del bene, mio, tuo, suo, nostro. Senza libertà, la vita diventa mera sopravvivenza; ma se l’orizzonte dell’uomo si riduce alla mera sopravvivenza, viene meno la spinta propulsiva del consorzio umano.

L’obbligo giuridico della mascherina perenne non protegge l’uomo dalla catastrofe: è già, di per sé, una catastrofe. La nostra vera battaglia ideale è quella di uscire dall’emergenza!

Aggiornato il 03 gennaio 2022 alle ore 10:21