Anno nuovo, vita nuova

Anno nuovo, vita nuova! Non proprio, almeno per il nostro Paese. I vecchi mali rimangono lì, fermi come macigni. Nonostante gli auspici di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e i suoi elogi alla forza patria, davanti a noi si apre un anno complicatissimo.

Non vi è soltanto il rebus del Quirinale, di chi salirà al Colle per rappresentare l’unità nazionale, garantire l’osservanza della Costituzione, presiedere il Consiglio superiore della Magistratura e il Consiglio superiore di Difesa, nominare giudici costituzionali o sciogliere le Camere. Partita, quella quirinalizia, assai importante, ma destinata a chiudersi nel giro di qualche settimana, vada come vada.

Vi è di più e di molto più duraturo, mali antichi e moderni, interni ed internazionali. Ne elenco alcuni, a mo’ di post-it.

Il primo che balza agli occhi, oltre a quello del malefico virus, è il gigantesco debito pubblico, che veleggia verso duemilasettecento miliardi di euro, roba mai vista nella storia italiana, neppure durante le grandi guerre e le ricostruzioni post-belliche.

Si dirà: sebbene così alto, il debito è compensato dalla crescita economica di questi mesi, anch’essa significativa.

Lasciamo perdere facili discorsi che, come diceva Antonio Gramsci, sono buoni solo per chi vende fumo allo scopo di nascondere il bruciato della pentola. Ad oggi la crescita è poco più di un’illusione matematica, drogata da una quantità straordinaria di moneta riversata sul mercato, da miliardi e miliardi di prestiti pubblici all’imprenditoria e sovvenzioni al mercato del lavoro, da sospensioni di pagamenti di debiti erariali e commerciali, da rimbalzi dei consumi e da frenate degli interessi sul debito. La competenza e l’autorevolezza di Mario Draghi hanno fatto il resto per calmierare mercati e forze speculative.

Il secondo, grande problema è dato dalla disoccupazione. Non si tratta di crisi congiunturale, affrontabile con “ammortizzatori” di varia natura e durata. La crisi è ormai strutturale. Per superarla occorrono piani industriali nazionali ed europei in grado di “prevedere” e progettare quel che sarà. Compito difficilissimo, che solo politici e parlamentari competenti e scientificamente attrezzati potranno essere in grado di portare a termine.

Il terzo si lega ai precedenti mali ed attiene alla crescita della povertà. Inutile far finta che il fenomeno non esista o sia un’invenzione dei preti o delle associazioni del terzo settore. Il fenomeno esiste ed è drammatico. Volontariato e “carità” non bastano più se si vuole che esso non degeneri in cancro sociale.

Il quarto riguarda le riforme strutturali. Il Governo in carica, come ha detto il suo presidente nella conferenza di fine anno, ne ha avviate parecchie. Di strada da percorrere, però, ve ne è ancora moltissima, così come numerose sono le riforme ancora da impiantare.

Fra queste primeggia la riforma fiscale. Le misure della legge di bilancio non costituiscono una riforma. Esse si limitano ad una diversa, modestissima redistribuzione del peso dell’Irpef tra i contribuenti. Come scrissi su queste colonne qualche mese fa, l’Italia ha bisogno di una riforma in grado di rovesciare il sistema. Le sforbiciate sono inutili perché, alla resa dei conti, finiscono per disperdere denaro pubblico senza ritorno.

E poi vi è un’altra gigantesca riforma, indispensabile come il pane: quella della giustizia. Solo qualche passo è stato avanzato con le leggi della ministra Marta Cartabia, ma il grosso del lavoro è ancora da fare. Una giustizia funziona non solo se ci sono più aule giudiziarie, cancellieri o magistrati. Funziona se funziona il diritto, se le leggi sono poche e scritte come Dio comanda, se i princìpi fondamentali sono rispettati da chi le scrive e da chi le applica, se si privilegia la realtà, piuttosto che la forma e le virgole.

Un 2022 pieno zeppo di cose da fare, allora. La speranza è che non trascorra invano. Auguri!

Aggiornato il 29 ottobre 2023 alle ore 00:18