Presunzione di innocenza: il carosello mediatico dei pm andava arginato

Ma quale bavaglio. Ma quale minaccia alla libertà di stampa. La direttiva europea sulla presunzione di innocenza recepita in maniera più che annacquata dall’Italia era – ed è – sacrosanta. Un timido freno al carrierismo mediatico di certi pm andava messo. Non alla libertà di stampa come si vuol far credere o – peggio – come si crede un po’ banalmente, con il solito conformismo di categoria. Semplicemente le notizie dobbiamo andarle a cacciare noi. Non ci devono essere servite sopra un piatto di argento in cambio di una promozione libraria per un magistrato e nemmeno per un ex tale. E neanche per fare mettere una foto di inquirente in prima pagina o nei titoli di apertura di un telegiornale. Non possiamo avere la pappa pronta e scodellata delle conferenze stampa trionfalistiche e dei terabyte di atti giudiziari consegnati sottobanco ma non troppo in pennetta dal primo ufficiale di polizia giudiziaria della scorta del pm di cui sopra. Le notizie sulle inchieste non possiamo accattonarle dal protagonista di turno. Dobbiamo cercarcele noi. Come avveniva ai tempi di Roberto Martinelli e di mio padre. Quando la violazione del segreto istruttorio ti poteva anche mandare in carcere.

Eppure, i giornali uscivano lo stesso e la giudiziaria era una cosa seria, non una guerra di dossier alimentata da politici, magistrati e giornalisti editori. E quella di un tempo era una guerra di scoop veri e di buchi verissimi. Tra il “Giorno” e il “Corriere” come anni dopo tra “Repubblica” e il “Giornale”. Quello che invece avviene oggi è un triste mercato di notizie e un intreccio di carriere tra pm e cronisti di pseudo assalto. Carriere da separare come si è già scritto. Il tutto sulla pelle di indagati che fanno notizia solo quando politici o personaggi famosi, del calcio o dello spettacolo. Possibilmente di chiara fama e candidati a qualcosa oppure ex rappresentanti di alto livello nelle istituzioni. Inchieste per finanziamenti da quattro soldi, per pseudo bancarotte e per traffico di influenze che è un reato da ridere un tempo non venivano neanche aperte. Perché non c’era il bisogno di distruggere così un avversario politico. Bastavano le idee. Non i ricatti condotti nelle segrete delle procure o negli sgabuzzini di qualche giornale giustizialista. O nelle sale ascolto delle intercettazioni della polizia giudiziaria.

Eppure il potere tra gli anni Sessanta e l’inizio dei Novanta era controllato eccome dai media. Se non altro perché non tutti erano finanziati da quei gruppi economici che oggi hanno creato un oligopolio di fatto. E soprattutto non c’era lo strapotere del partito delle procure, respinto all’epoca del caso Tortora e poi trionfante dopo “Mani Pulite”. E oggi condizionante tutto e tutti, come nel bel film che racconta la Ddr.

Io non rimpiango di non potere sghignazzare sulle telefonate o sui colloqui ambientali delle escort di Silvio Berlusconi o di Gianpaolo Tarantini, né di non potere fare commenti da caserma sui WhatsApp di Stefano Ricucci con la sua ex fidanzata. O su quelle confidenze maschiliste di Matteo Renzi su Maria Elena Boschi. Né di non potere più commentare l’estratto conto di qualsivoglia personaggio noto. Questa roba è merda allo stato puro non quando viene detta al telefono o ascoltata dagli inquirenti ma quando viene consegnata sottobanco a qualcuno e poi riportata dai giornali e dalle tv, magari in talk-show che fanno recitare i brogliacci agli attori. Lo scopo non è la giustizia o l’informazione ma la distruzione selettiva di questo o di quello. Fino a provocare una reazione a catena che non risparmia quasi più nessuno. Non è neppure una questione di garantismo. È semplicemente buon gusto. Civiltà.

È ora di abbandonare il grado zero del giornalismo giudiziario nato, cresciuto e oggi pasciuto per compiacere certi pm e per creare quel “do ut des” che poi unifica la carriera del giornalista con quella del magistrato di turno. Se c’è voluta l’Europa per fischiare la fine di questa oscena ordalia, allora significa che per una volta ne ha imbroccata una.

Aggiornato il 16 dicembre 2021 alle ore 10:41