Ma Draghi che fa? La sfinge e la mummia

Che cosa si nasconde dietro la lotteria del Quirinale? Forse, si tratta soltanto di terra da riporto per coprire le… buche di potenziale e gli sconcertanti vuoti di proposta costruttiva, apertisi da quasi tre decenni sotto i piedi dei partiti italiani che non portano nemmeno più questo nome, tranne qualche rara e a volte patetica eccezione? Deve essere proprio così, se il Paese è stato posto ai piedi del moderno Salvator mundi dell’economia italiana, non appena terminato il suo incarico di massimo banchiere europeo e mondiale, che gli ha consentito negli anni di regno di tessere una tela mondiale di rapporti con la politica internazionale e le principali autorità delle banche mondiali. E, dato che ormai il Denaro è la misura di ogni cosa, mai scelta fu tanto azzeccata per gestire la manna di prestiti a tasso agevolato e di grant (donazioni) che Bruxelles ha messo a disposizione dell’Italia, garantendoli con l’emissione di bond comunitari.

Ma, poiché i… pasti non sono mai gratis quando si parla di prestiti e di soldi altrui, in generale, l’Italia (già con un indebitamento nell’anno in corso del 160 per cento del rapporto Debito/Pil) ha fatto la scelta di legarsi una pesantissima palla al piede, dal momento che l’erogazione dei prestiti è vincolata a precisi adempimenti da parte nostra, per quanto riguarda riforme e progetti strutturali per il rilancio del nostro sistema-Paese. E, qui, rischia di cadere l’asino. Il Governo ha infatti deciso di decentrare e di alienare la maggior parte dei fondi disponibili del Pnrr agli Enti locali, in ossequio al fattore di prossimità, investendo la responsabilità di politici e amministratori locali nella realizzazione pro-quota dei progetti. Ma qui occorre dire, obiettivamente, che in merito a questa scelta peserà assai negativamente, e in modo determinante, la forbice storica di sviluppo e produttività che separa il Nord dal Sud Italia. Molti sindaci meridionali hanno iniziato a mettere le mani avanti, dicendo che non sono in grado di provvedere alla stesura dei progetti e alla realizzazione delle opere, a causa della grave mancanza di profili professionali adeguati e di sufficienti dotazioni finanziarie per procedere alle nuove assunzioni. In questa cornice di fallimento più o meno ritardato degli obiettivi del Pnrr, Mario Draghi avrebbe tutto l’interesse di sfilarsi per tempo dalle sabbie sempre più mobili di Palazzo Chigi, traslocando di gran carriera al Quirinale. Del resto, è del tutto comprensibile l’irritazione dell’attuale presidente del Consiglio, a seguito della protesta dei sindacati confederali e del mercato delle vacche cui si dedicano i partiti della coalizione, determinati a ottenere quanti più vantaggi possibili per i loro elettorati, a discapito della coerenza dell’approvanda legge di Bilancio.

Del resto, se Draghi dovesse fallire nella sua opera di risanamento, a rialzare la testa sarebbero proprio quelle frange movimentiste anti-euro e anti-europeiste che si sono dovute allineare ai diktat dei loro leader, pur di evitare il ricorso alle elezioni anticipate. Ora però che si fa sempre più concreto l’orizzonte dell’ottobre 2022 per lo scioglimento anticipato dell’Assemblea, permettendo così ai parlamentari in carica di assicurarsi il diritto alla pensione, c’è da giurare che chi ha tutto da perdere, a causa del taglio di un terzo degli eletti, faccia una campagna spregiudicata a tutto campo, per assicurarsi il voto di protesta di coloro che rifiutano limitazioni sia alla propria libertà di movimento, sia ai tetti di spesa per sussidiare l’economia in crisi.

Se Draghi venisse eletto presidente della Repubblica, con un Pnrr decisamente in netto ritardo sugli adempimenti previsti, parte del centrodestra si sentirebbe affrancata dal suo impegno consociativo di stabilità e si terrebbe le mani libere per pilotare a proprio favore una crisi di Governo. Infatti, una volta che si sia resa vacante la carica di presidente del Consiglio, l’interim potrebbe tranquillamente arrivare a fine settembre 2022, senza che nel frattempo si sia individuata una soluzione di compromesso e una nuova coalizione di Governo. Il che, ovviamente, renderebbe inevitabile lo scioglimento del Parlamento da parte del nuovo presidente della Repubblica.

Rendendosi conto di far la figura del terzo incomodo, anche Giuseppe Conte cerca, probabilmente invano, una sua via d’uscita tra la Scilla-Partito Democratico e la Cariddi-Beppe Grillo che gli attribuirebbero in toto il fallimento della sua nuova creatura-partito. Infatti, se il nuovo Movimento Cinque Stelle si omologasse alla sinistra come vorrebbero Enrico Letta, Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, perderebbe per intero l’ala movimentista che giocherebbe una partita a sé nel caso del ricorso a elezioni anticipate.

Del resto, il rebus Quirinale è veramente senza soluzione apparente, come sintetizza assai bene The Economist del 4 dicembre. Questi gli scenari. Primo quadro: Draghi non va al Quirinale, con un irreparabile danno di immagine che ne comprometterebbe la sua credibilità come presidente del Consiglio, per la tenuta di un larghissimo governo di coalizione come quello attuale. Nello scenario opposto, si porrebbe il problema della sua successione a Palazzo Chigi e di tenere in piedi una coalizione divisa su tutto. Per cui, la conseguenza più probabile sarebbero elezioni anticipate, da svolgersi nell’autunno 2022, con la prevedibile vittoria del centrodestra. E proprio questo tipo di conclusione sarebbe la famosa “mucca nel corridoio” di bersaniana memoria, da evitare a ogni costo per i potenziali perdenti, Letta e Conte che, quindi, hanno tutto l’interesse a tenere Draghi a Palazzo Chigi, insistendo per un secondo mandato di Sergio Mattarella, sul precedente di Giorgio Napolitano che si dimise poi volontariamente a soli due anni dalla rielezione. Alla fine, quasi certamente perderanno tutti, a causa del prevedibile logoramento delle attuali alleanze nella ricerca di un candidato da eleggere a maggioranza semplice al Quirinale, così come avvenne con la rottura del Patto del Nazareno, a seguito dell’elezione di Sergio Mattarella.

Mario Draghi, quindi, fa benissimo a evitare una sua auto-candidatura tenendo la barra dritta per il rispetto del cronoprogramma relativo alla realizzazione del Pnrr. Anche perché, se non dovesse trovare casa nel Colle più alto, non c’è che da aspettare i tempi giusti per andare a sostituire in Europa Ursula von der Leyen, prendendo così il posto di Angela Merkel nella guida diretta della Unione europea.

Aggiornato il 09 dicembre 2021 alle ore 09:33