Chiamali se vuoi liberali

Per quanto mi riguarda, questa pandemia a bassa letalità relativa ha fatto saltare i già scarsi riferimenti liberali su cui potevamo contare. In questi giorni, con l’esclusione di Luca Zaia, i governatori più in vista del centrodestra hanno chiesto compatti al Governo, nell’eventualità di un aumento dei contagi (che in sé non vogliono dire assolutamente nulla), di adottare misure restrittive per i non vaccinati. Se è questa la nuova frontiera del nostro liberalismo all’amatriciana, stiamo veramente freschi.

“Chiederemo come Regioni che le misure restrittive legate alle fasce di colore, se devono valere per qualcuno, valgano per le persone che non hanno fatto il vaccino e non per le persone che lo hanno correttamente fatto”. Così si è espresso Giovanni Toti, governatore della Liguria, facendosi portavoce degli altri esponenti di un liberalismo di rottura (nel senso che, come ha efficacemente sostenuto Daniele Capezzone in tv, trattasi di vera e propria rottura di palle, dal momento che abbiamo il record mondiale di vaccinati).

In realtà, né a questi geni e né a chi occupa la stanza dei bottoni di Palazzo Chigi sembra interessare molto la salute vera dei cittadini. Essi hanno perfettamente compreso che oramai, per tutta una serie di ragioni, il lungo elenco di misure restrittive che hanno caratterizzato la nostra assurda lotta al Sars-Cov-2 si sono da tempo trasformate in una sorta di controllo politico della società. Contrariamente a ciò che, ad esempio, sta avvenendo nel tanto bistrattato Regno Unito, in cui è tutto aperto e del Covid non ne parla quasi più nessuno, in Italia il costante sentimento di allarme che viene veicolato h24 dalla grande informazione ha creato una inverosimile metamorfosi politica: da sistema democratico fondato sul lavoro siamo diventati un regime sanitario di ispirazione talebana.

Aggiornato il 22 novembre 2021 alle ore 09:22