Vacanze romane

Per Mario Draghi il G20 di Roma è stato un successo. A noi non è sembrato tale. Certo, Draghi avrebbe tutte le ragioni per compiacersi del risultato se di mestiere facesse il tour operator. Ma lui è il presidente del Consiglio dei ministri e governa un grande Paese. La promozione dell’arte e della cultura gastronomica fa bene al Made in Italy, ma non dà peso geopolitico all’Italia sullo scacchiere internazionale. La realtà dietro i fuochi d’artificio dell’autocompiacimento è deludente. Segno che anche al “semidio” Mario Draghi non tutte le ciambelle riescano col buco.

Non è piaciuta per niente quella excusatio non petita pronunciata in conferenza stampa dal premier a proposito di un vertice che “ha riempito di sostanza le nostre parole”. È stato un goffo tentativo di pararsi dall’accusa di “blablaismo” sulle scelte climatiche, rivolta ai grandi della Terra da quella ragazzetta svedese molto antipatica e molto supponente, affetta dalla sindrome di Giovanna d’Arco, che il mainstream globalista ha elevato a santa patrona della “rivoluzione” green. Pare si chiami Greta Thunberg. Il premier Draghi dovrebbe preoccuparsi di governare la complessità di una grande democrazia nella quale le istanze dei gruppi sociali che la strutturano sono numerose e non sempre di agevole composizione, invece di correre dietro al semplicismo qualunquistico di una diciottenne invasata cha parla come un libro stampato. E poi, quali sarebbero i mitici contenuti che avrebbero restituito senso al G20? L’impegno per la diffusione della vaccinazione nelle zone più povere del pianeta, un’intesa sulla tassa globale ai giganti del web e un accordo sul clima.

Sulla vaccinazione: visto l’andamento della curva pandemica, vaccinare i disperati del mondo che vivono fuori del perimetro dell’Occidente non è un’opera di carità ma un favore che l’Occidente fa a stesso. L’infezione da Coronavirus cammina sulle gambe degli uomini. E costoro, migrando per ragioni economiche da zone sottosviluppate dove il virus corre veloce verso zone ricche del pianeta, lo trasmettono alle popolazioni autoctone dei Paesi di approdo.

La minum tax globale per i giganti del web: non è sbagliata, in via di principio. Ma, nella realtà, è poco più di un atto simbolico che non va al cuore del problema. Al contrario, per le multinazionali la possibilità di pagare un piccolo balzello, avendone in cambio il via libera dagli Stati a fare tabula rasa di interi settori della produzione e del commercio tradizionali, è un ottimo affare.

La questione climatica: non si è fatto alcun passo in avanti. L’intesa approvata è la ripetizione delle decisioni prese alla Conferenza di Parigi, sul clima e sulle emissioni globali di Co2, del 2015. E successivamente disattese giacché, senza il convinto apporto alla causa climatica di Russia, Cina e India, ogni accordo preso è scritto sull’acqua. Eppure, sarà per la magica atmosfera romana, Mario Draghi ha scoperto il multilateralismo come strumento e metodo per una governance globale in grado di affrontare tutte le emergenze planetarie. Ma davvero ci crede? Suvvia! Un uomo della sua esperienza non può essere tanto ingenuo.

Nei rapporti internazionali non esiste un “noi, tutti uniti”. Persiste, invece, una solida prassi di difesa degli interessi nazionali regolati sulla base dei rapporti di forza. E poi: multilateralismo, dove starebbe la novità? Il professore Giulio Tremonti ama spesso ricordare (lo ha fatto anche in un’intervista a “Il Giornale) che già nel 2009, al G8 svoltosi a L’Aquila, l’allora Governo Berlusconi propose un trattato multilaterale, il Global Legal Standard, articolato in 12 punti, con l’intento di favorire il passaggio dal free trade al fair trade. Un vecchio pallino dell’allora “colbertiano” ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: introdurre contenuti etici e politici, universalmente riconosciuti, al fianco di stringenti regole economiche e finanziarie, allo scopo di tenere a bada gli effetti selvaggi della globalizzazione. Un progetto nobilissimo: la costruzione su scala mondiale di una economia forte, giusta, poggiata sui valori della probità, dell’integrità e del rispetto dell’ambiente.

Sono trascorsi dodici anni dalle giornate aquilane dei grandi della Terra e di quel sogno che è stato? Rimasto intrappolato allo stato onirico. Perché oggi il multilateralismo immaginato da Draghi dovrebbe avere migliore destino? Il vero volto di questo G20 lo si scorge oltre gli scintillii della vetrina: nel retrobottega degli incontri bilaterali, dove si mesce il succo del meeting. Francia e Gran Bretagna che si fanno la guerra sulle zone esclusive di pesca. Usa e Cina che si affrontano a muso duro sulla questione dell’indipendenza dell’isola di Taiwan. Per inciso, nello stesso momento in cui le delegazioni di Stati Uniti e Repubblica popolare di Cina si incontravano a Roma, cacciabombardieri inviati da Pechino violavano, in segno di provocazione, lo spazio aereo di Taiwan. Francia e Usa impegnati in una complicata ricucitura dopo lo schiaffo subìto da Parigi per mano di Washington sulla vicenda della commessa dei sottomarini da vendere all’Australia, scippata dagli statunitensi ai francesi. Emmanuel Macron, in crisi di consensi a casa sua, ha chiesto a titolo risarcitorio il pieno sostegno dell’Amministrazione americana alla Conferenza internazionale sulla Libia, in programma il 12 novembre a Parigi. Il motivo ufficiale dell’incontro è di assicurare il regolare svolgimento delle elezioni libiche, fissate per il prossimo 24 dicembre.

Il non detto è che Parigi vorrebbe tornare a essere, con l’aiuto Usa, il dominus dei futuri assetti interni del Paese nordafricano. Ovviamente a scapito della posizione italiana. Peccato che, nel frattempo, la scena libica sia tenuta da due attori piuttosto ingombranti: la Russia e la Turchia. In particolare quest’ultima. Il dispotico Recep Tayyip Erdogan ha colto l’occasione dell’incontro romano per comunicare de visu al nostro premier di non avere alcuna intenzione di andarsene dalla Libia. E poi: la Federazione Russa, che per il tramite del ministro degli Esteri Sergej Lavrov, ha impartito a Draghi una lezione di stile sulla vicenda del mancato accordo sul clima. Ha detto Lavrov a “Il Corriere della Sera”: “Se è un’ambizione dell’Unione europea (conseguire un impatto climatico zero entro il 2050, ndr), anche altri Paesi hanno diritto ad avere ambizioni. Quanto al comunicato, noi apprezziamo il lavoro della presidenza italiana che all’alba di oggi è riuscita portare a termine il negoziato con un accordo, ma avremmo preferito che la bozza originale ci fosse stata consegnata prima. La ragione di questo ritardo è stata che prima l’hanno discussa i Paesi del G7 e poi hanno cominciato a farla circolare. Ecco perché conteneva la data del 2050. Ma è stato un comportamento non esattamente educato”.

Chiaro il concetto? Il multilateralismo non può tradursi in un: noi decidiamo, voi vi adeguate. Il mondo non è l’europeismo alla maniera di Angela Merkel o la politica di casa nostra al tempo del Governo di unità nazionale. Allora, meglio essere realisti. L’Italia, sullo scacchiere internazionale, è messa com’è messa. Non facciamoci illusioni. Semmai, preoccupiamoci di cosa abbia detto il presidente Joe Biden al nostro premier, dandogli una pacca sulla spalla. Quel “stai facendo uno straordinario lavoro, vai avanti” cosa voleva significare? Prudentemente, limitiamoci a incassare i complimenti per l’ospitalità. Gli illustri ospiti, con consorti al seguito, sono stati bene: hanno mangiato di gusto e hanno soggiornato piacevolmente. Il clima è stato gradevole, da ottobrata romana. Archiviamolo così questo G20. Che è la cosa più saggia da farsi, se si ha un briciolo di riguardo per la decenza.

Aggiornato il 04 novembre 2021 alle ore 09:22