Amministrative: il frutto amaro della democrazia sospesa

In questo fine settimana si sono celebrati i ludi elettorali più macabri della storia recente. Funebri per spessore del dibattito, mesti per capacità di mobilitare le piazze e modesti per appeal dei candidati.

Con una simile premessa, non poteva che vincere l’astensione: l’affluenza alle urne è stata tremendamente bassa sicuramente a causa del disinteresse destato da questa campagna elettorale sonnacchiosa. Ma chi nella scarsa affluenza non ci rinvenisse anche l’effetto Draghi commetterebbe un grave errore. Un Governo sostenuto da quasi tutti e impegnato a discutere con nessuno non restituisce una buona immagine della politica che sembra quasi un ostaggio imbelle e rassegnato di questo Esecutivo. Ciò provoca una sfiducia istintiva nella democrazia rappresentativa della quale non possiamo far finta di non tener conto. Mentre l’uomo solo al comando muove i fili, i partiti giocano alle elezioni. E questo non è uno spettacolo bello da vedere. Premessa doverosa alla quale sicuramente segue il giochino del “chi vince-chi perde”, la parte insomma più pruriginosa che tratteremo per non scontentare i lettori ma che secondo noi si colloca in una posizione marginale rispetto al dato sull’astensione e relative profonde motivazioni.

Ma veniamo al gossip. Sicuramente il Movimento Cinque Stelle sparisce dai radar della politica andando a ridurre il proprio ruolo a mo’ di cespuglio del Partito Democratico: nelle grandi città in cui avevano dei sindaci uscenti, i grillini non sono arrivati neppure al ballottaggio rimediando addirittura un quarto posto (dopo Carlo Calenda) roboante nella Capitale. Questo significa due cose: la prima è che i Pentastar faranno di tutto per obbedire al loro nuovo padrone (consegneranno, per quanto possibile, i loro voti a Roberto Gualtieri) e la seconda è che il paradigma dell’antipolitica, dei cittadini contro la casta, dei bravi ragazzi improvvisati al comando, cessa sia per manifesta incapacità amministrativa sia per manifesta incoerenza (i grillini in questi anni si sono alleati con tutti pur di restare nella stanza dei bottoni).

Venendo al Partito Democratico, a meno che qualcuno pensasse veramente che Milano, Napoli o Bologna fossero Amministrazioni contendibili (insieme alle suppletive di Siena), il Partito di Enrico Letta termina la propria corsa con un momentaneo pari e patta (la vittoria potrebbe arrivare se il centrosinistra vincesse a Roma). Se è vero che il Partito Democratico nelle grandi città si è limitato a mantenere le Amministrazioni uscenti, è anche vero (per onestà intellettuale) che nessuno si sarebbe aspettato un divario così ciclopico con il centrodestra. Probabilmente un simile divario sarà anche dovuto all’astensione (quando l’affluenza è bassa a farne le spese è storicamente il centrodestra) ma intanto esso balza plasticamente agli occhi e necessita di un supplemento di analisi.

Fatta eccezione per la Calabria, la tornata amministrativa ci restituisce Forza Italia ridotta al lumicino (anche ma non solo per l’assenza del suo leader), la Lega che arretra paurosamente (soprattutto a Milano) e Fratelli d’Italia che tiene botta ma non sfonda. Colpa di candidati sbagliati presentati per giunta in ritardo? Sicuramente. Colpa della litigiosità interna alla coalizione e ai partiti? Probabile. Colpa della linea politica nazionale confusa e fumosa degli ultimi mesi? Possibile. Non bisogna però trascurare quanto il dato penalizzi maggiormente i partiti “governisti” della coalizione che si erano proposti come elementi in grado di condizionare l’azione di Mario Draghi finendo invece per fare in alcuni casi le comparse (vedi Giancarlo Giorgetti) e in altri casi i cerberi impopolari (vedi Renato Brunetta). Dall’altro lato, il centrodestra di lotta non sfonda perché è all’opposizione con coerenza ma in maniera sterile, non incisiva. Gira a vuoto.

In estrema sostanza, quando la politica diventa marginale, essa perde quello smalto capace di attirare gli elettori alle urne, di motivarli. La prova del nove consiste nel sorprendente risultato di Carlo Calenda, uno che è stato capace di sfidare la democrazia sospesa dall’attuale Governo con programmi, proposte, indipendenza, estraneità alle polemiche tra partiti e serietà. Più di qualcuno dovrebbe riflettere su questo dato.

Aggiornato il 07 ottobre 2021 alle ore 09:45