Abbasso il Green pass, quindi lunga vita al Green pass!

“La situazione cominciò a cambiare all’inizio degli anni Trenta. Nel 1932 vennero reintrodotti i passaporti e un rigido sistema di registrazione degli abitanti delle città; in quel tempo una carestia aveva colpito le aree meridionali del Paese, densamente popolate, e milioni di contadini affamati affluivano nelle città dove era più facile procurarsi il cibo. Superata la situazione di emergenza, la vita continuò tuttavia ad essere molto difficile per i contadini; il sistema dei passaporti interni venne mantenuto, ed è rimasto in vigore, praticamente senza mutamenti, fino ai nostri giorni (…). Oggi però gli effetti negativi della limitazione della libertà di trasferimento sono molto maggiori che in passato. In primo luogo, si ha una seria violazione dei più elementari diritti democratici”.

Così il celebre dissidente sovietico Roy Medvedev descrisse l’introduzione del passaporto interno in Unione Sovietica con cui si limitarono i diritti naturali di circolazione e libertà personale, che spettano a ogni individuo, compressi e soppressi per motivi di ordine e sicurezza. Ciò che dall’esperienza sovietica riportata da Medvedev emerge con maggior chiarezza sono almeno tre elementi principali.

In primo luogo: la storia insegna la curiosa, ma evidentemente inevitabile contiguità tra lo Stato d’emergenza e l’adozione di misure che sono destinate a comprimere o sopprimere i diritti naturali e le libertà fondamentali.

In secondo luogo: una misura annunciata come provvisoria in ragione dell’emergenza può diventare qualcosa che supera la parentesi temporale dell’emergenza istituzionalizzandosi tramite una sua proroga a tempo indeterminato.

In terzo luogo: una misura come un passaporto interno costituisce, con tutta evidenza, una violazione della dimensione democratica che dovrebbe caratterizzare un reale ordinamento giuridico fondato sulla ragione e non sull’arbitrio, sulla giustizia e non sulla forza, sulla persona e non sulla mera formale legalità. L’esperienza sovietica, insomma, rivela come l’idea di un passaporto interno può ben risolversi in uno strumento a servizio non della democrazia, ma della tirannia, specialmente se fondandosi sulla passiva abitudine dei cittadini che ad essa soggiacciono diventa una misura stabile e duratura.

Il Green pass, che piaccia o meno, che lo si riconosca o meno, presenta le stesse identiche caratteristiche sostanzialmente anti-giuridiche del passaporto interno utilizzato per decenni in Unione Sovietica. Ma proprio per questo, da parte di scrive le presenti riflessioni, tanto più inutili quanto più evidenti dovrebbero essere considerate tali analogie, si reputa che il Green pass possa e debba essere ulteriormente irrigidito: senza il green pass, infatti, andrebbero soppressi i diritti non soltanto di circolazione e lavoro, come fino a oggi accade, ma anche altri diritti quali la libertà personale, impedendo, per esempio, che si possa andare al mercato per la spesa quotidiana, il diritto di professare liberamente il proprio culto, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Se, infatti, il Green pass non è una misura sanitaria, ma una misura prettamente politica, come ammesso ormai esplicitamente, anzi, bio-politica, allora non c’è ragione che esso sia limitato soltanto ad alcuni diritti. L’efficacia di una misura politica, infatti, sarà tanto più pregnante quanto più totalizzante, cioè volta a invadere ogni sfera della vita pubblica e privata del singolo individuo, come del resto insegna la predetta esperienza sovietica.

Se, infatti, il Green pass è una misura sanitaria (e non lo è) non si comprende perché debba subire restrizioni potendosi il virus trovare in ogni luogo, nella metro come al mercato, al cinema come al ristorante, in libreria come in discoteca; se, invece, il Green pass è una misura politica (e lo è) non si comprende perché possa comportare distinzioni arbitrarie e non comprimere o sopprimere praticamente tutti i diritti e le libertà fondamentali per riuscire con maggior sicurezza nel suo scopo, cioè nel minuzioso e capillare controllo bio-politico dell’intera popolazione. Forse soltanto quando – oltre il lavoro e la circolazione – anche gli altri diritti fondamentali saranno del tutto soppressi tramite il Green pass con la scusa dell’emergenza, anche i più restii potranno rendersi conto della sua strutturale illegittimità giuridica e chi oggi non capisce potrà capire, o almeno così si spera; a tal fine, quindi, ci si augura da parte di chi scrive che il Green pass possa essere ulteriormente esteso e godere di lunga vita pluridecennale come la “propiska” sovietica.

In conclusione, nonostante l’esperienza russa, sembra che la popolazione odierna abbia perduto il senso della libertà poiché troppo temporalmente distaccata dal non-senso del totalitarismo, così da risultare ancora attualissime le parole di Aleksandr Solženicyn condensate in uno dei suoi discorsi pronunciati in occasione del suo viaggio negli Stati Uniti: “È possibile o no trasmettere l’esperienza di coloro che hanno sofferto a coloro che devono ancora soffrire? Gli uomini sono capaci o no di imparare qualcosa dall’amare esperienza vissuta dai loro fratelli? È possibile o no avvertire qualcuno del pericolo? (…) Gli orgogliosi grattacieli si innalzano verso il cielo e dicono: “Da noi non ci sarà niente del genere, questo da noi non può accadere, da noi è impossibile!” (…) Ma si deve proprio aspettare il momento in cui si ha il coltello alla gola? Possibile che non si possa valutare ragionevolmente in anticipo il pericolo che vuole inghiottire il mondo intero? Io ne sono già stato inghiottito. Sono già stato nel ventre del drago, nel suo ventre rosso e ardente. Lui non mi ha digerito e mi ha rigettato. E io sono venuto a testimoniarvi come si sta nel ventre del drago (…). Oggi sono tutti istruiti, sanno leggere, e tuttavia sembra che non vogliano capire”.

Aggiornato il 30 settembre 2021 alle ore 09:46