Berlusconi for President

Silvio ci crede. Mai come adesso il Quirinale è alla sua portata. Il blocco del centrodestra non è lontanissimo dalla fatidica soglia della maggioranza assoluta dei membri del Parlamento (a cui si aggiungono i delegati delle Regioni) che dal quarto scrutinio in poi garantisce l’elezione del presidente della Repubblica. Ma non è solo questione di numeri. Ciò che spinge il vecchio leone di Arcore verso il Colle più alto è il progressivo allineamento di alcuni fattori congiunturali del quadro geopolitico, stravolto dagli esiti drammatici della vicenda afghana.

La fuga precipitosa e scomposta da Kabul degli statunitensi, e degli alleati al seguito, insieme ai molti danni provocati alla sicurezza dell’Occidente e alle speranze degli afghani, ha offerto un’indicazione chiara sulle intenzioni di Washington di defilarsi progressivamente, ma irreversibilmente, dalla gestione delle dinamiche nel quadrante del cosiddetto Mediterraneo allargato. In politica vige la regola aurea in base alla quale gli spazi vuoti si occupano. E chi occuperà lo spazio lasciato libero dagli Stati Uniti? Principale candidata è la Cina comunista. Che è vicina a noi molto più di quanto si pensi. L’impero del dragone da tempo ha messo radici in Africa; avanza nei Balcani; è in Albania, a un tiro di schioppo dai nostri confini. La strategia cinese di penetrazione mira a lanciare l’assalto decisivo al bastione della società del benessere e dei consumi di massa: la vecchia Europa. L’espansionismo cinese, che non cerca partenariati commerciali da implementare ma mercati da invadere con le proprie merci e strutture statuali da condizionare, non ha bisogno di carri armati e baionette per affermarsi ma è focalizzato sull’inserirsi nei gangli delle economie occidentali per prenderne il controllo. Una minaccia che va contenuta e respinta. Tuttavia, perché la reazione abbia successo è necessario che si verifichino due condizioni.

La prima. L’Europa deve riuscire a coordinarsi per fare fronte comune e non procedere in ordine sparso, nella consapevolezza che nessuna nazione continentale per quanto solida e ricca possa farcela da sola contro il gigante dell’Estremo Oriente. La seconda. Bisogna riequilibrare i rapporti con i player globali, favorendo una ripresa del dialogo con la Federazione Russa, nel recente passato letteralmente spinta tra le braccia di Pechino a causa di un anacronistico ostracismo adottato dall’Unione europea. Se tale è la prospettiva a breve termine, chi meglio del collaudato Berlusconi può svolgere il ruolo di pontiere con “l’amico” Vladimir Putin, puntellando nel contempo la crescente leadership in sede di Unione europea di Mario Draghi? A maggior ragione adesso che l’Europa, nel suo insieme, si trova in pesante deficit di classe di governo, con l’uscita di scena della signora Angela Merkel e con la probabile defenestrazione di Emmanuel Macron alle prossime presidenziali francesi nella primavera del 2022?

Il fondatore del centrodestra è talmente consapevole del momento a lui favorevole che si è messo a studiare da Capo dello Stato. Prova ne è l’intensificarsi delle “lettere” recapitate a “Il Corriere della Sera”. La scelta del canale di dialogo con il Paese non è elemento secondario di valutazione delle mosse del “Cav”. Piaccia o no il “Corsera” si rivolge a tutta l’opinione pubblica e non è strumento degli schieramenti di parte. Il fatto che Berlusconi vi faccia sempre più frequente ricorso per rendere noto il suo pensiero, è un segnale inequivocabile di un ritorno in campo da “riserva della Repubblica” in vista dell’ultimo, prestigioso traguardo. La “lettera” al Corsera dell’altro giorno ha riguardato la necessità per l’Unione europea di affrontare il nodo irrisolto della Difesa comune, che sottende quello complicatissimo della politica estera unitaria e ha avuto come destinatarie le principali Cancellerie europee.

Berlusconi ha fatto sapere ai disorientati colleghi del nostro Mario Draghi che è lui “l’uomo della Provvidenza”, che arriva al momento giusto con idee chiarissime su quali siano per i partner europei le amicizie da coltivare, chi gli interlocutori da privilegiare e chi invece i nemici da tenere a bada. La sua salita al Colle costituirebbe un fattore di stabilizzazione del quadro politico interno perché assicurerebbe un solido sostegno all’attuale Governo fino al termine naturale della legislatura. E, in via di principio, non escluderebbe un’ipotesi di prosecuzione dell’esperienza Draghi a Palazzo Chigi con il Parlamento rinnovato, anche in caso di vittoria elettorale del centrodestra. Ma chi, dal campo avversario, potrebbe portare in dono a Berlusconi i voti mancanti alla sua elezione? Il pensiero va a Matteo Renzi. E non a torto. Lui è l’astuto king maker che è ha reso possibile l’impossibile. Il Conte bis è stato un parto della sua sconfinata spregiudicatezza. Anche il Governo Draghi reca il suo marchio di fabbrica. Se è vero, come si dice, che non ci sia due senza tre, chi può negare che sia il vecchio leone di Arcore il terzo coniglio del cilindro renziano? Sarebbe tuttavia lecito domandarsi perché il senatore di Scandicci dovrebbe compiere un tale gesto di generosità nei confronti di una persona che lui ha già frodato in occasione dell’elezione, nel 2015, dell’attuale presidente della Repubblica.

Perché fidarsi? Semplicemente perché Berlusconi è l’unico in grado di appagare il sogno proibito di Matteo Renzi: essere il prossimo Segretario generale della Nato. Al momento c’è il norvegese Jens Stoltenberg il cui mandato, prorogato di un anno a causa della pandemia, scadrà nel 2022. Il vertice dei Paesi aderenti alla Nato che sceglierà il successore di Stoltenberg si terrà a Madrid, tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate del prossimo anno. L’ex “Rottamatore” sa bene che il vecchio leone ha capacità relazionali, esperienza dei tavoli internazionali e peso politico specifico in ambito europeo sufficiente per tessere la tela della sua candidatura presso gli alleati. Ecco perché un Berlusconi al Colle a Matteo Renzi potrebbe non dispiacere affatto.

Ma non è lui l’unico indiziato di un aiutino al leader di Foza Italia. Fari puntati su Luigi Di Maio. Il grillino, che da giovane si iscrisse al governo del Paese, è in rotta di collisione con il suo capo politico, Giuseppe Conte. L’eventuale scelta del nuovo corso contiano di sostenere l’ascesa di Mario Draghi al Colle comporterebbe la fine anticipata della legislatura, cosa che al “liquido” Giuseppe Conte sta benissimo, desideroso com’è di capitalizzare al più presto la poca popolarità rimastagli dopo l’umiliante conclusione della parabola da premier. L’avvocato di Volturara Appula è consapevole del rischio che corre nell’attendere la scadenza naturale della legislatura. Nel 2023 la gente potrebbe neanche ricordarsi di lui, e allora sì che per l’ambizioso avvocato sarebbe il crollo delle residue speranze di restare sulla scena politica da “primadonna”. Ma tanta fregola per andare al voto non è condivisa dalla maggioranza dei parlamentari grillini, consci che l’interruzione anticipata della legislatura sia la fine della loro lucrosa presenza all’interno delle istituzioni. Di certo non può piacere a Di Maio, che al potere c’è e vuole restarci il più a lungo possibile. Chissà che l’istinto di sopravvivenza, magari stimolato dai preziosi “consigli” di qualche antico sodale del vecchio leone di Arcore che da tempo intrattiene rapporti discreti con il giovane-vecchio grillino, non abbia la meglio sul dovere di assecondare i giochi spericolati del nuovo capobastone.

Per Di Maio, la pulsione ancestrale a preservare se stesso e la pattuglia dei fedelissimi potrebbe materializzarsi nel segreto dell’urna presidenziale. Sulla scelta del Capo dello Stato l’unica certezza è che non ve ne sia alcuna. Ragione per cui, giunti a cinque mesi dallo scoccare dell’ora “X”, che la vittoria dell’arcitaliano Berlusconi sia un’ipotesi concreta o solo un’esotica suggestione lo scopriremo leggendo i fondi del caffè.

Aggiornato il 08 settembre 2021 alle ore 09:11