Obbligo vaccinale: sì o no? Le ragioni del diritto

“La figura del diritto ha per correlativo la figura dell’obbligo”: così Norberto Bobbio ha sintetizzato, nella sua fondamentale opera sull’età dei diritti, la più caratteristica e performante endiadi della fenomenologia giuridica per cui è quasi impossibile immaginare diritti senza corrispettivi obblighi e obblighi senza corrispettivi diritti. Adesso che il Governo – pur dopo un semestre dall’inizio della campagna vaccinale e avendo raggiunto quasi l’80 per cento di copertura vaccinale della popolazione – ha preso in considerazione l’obbligo vaccinale occorre riflettere attentamente sul punto.

Avendo già chiarito la necessità inderogabile di trascinare la gestione pandemica all’interno del perimetro dello Stato di diritto fuoriuscendo dall’attuale Stato di eccezione, avendo già evidenziato l’infondatezza giuridica del green pass, avendo già da tempo evidenziato la necessaria prudenza sul tema, occorre adesso comprendere se e in che misura l’obbligo vaccinale possa essere considerato legittimo, interrogando – oltre le statistiche epidemiologiche e oltre le esigenze politiche – le pure e semplici ragioni del diritto. L’eventuale obbligo vaccinale si inserisce nella medesima logica etico-giuridica che trova il proprio fondamento negli articoli 2 e 32 (primo comma) della Costituzione, apparendo così del tutto legittima la sua previsione purché siano rispettate determinate condizioni e alcuni principi giuridici inderogabili.

In primo luogo: un tale obbligo, per essere legittimo, dovrebbe senza dubbio essere previsto per legge dello Stato, escludendosi, dunque, eventuali Dpcm o decreti ministeriali sia perché così dispone il tenore letterale – non bisognoso di interpretazione per la sua chiarezza – del secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione ai sensi del quale, infatti, “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, sia perché così sancito dalla Corte Costituzionale con la celebre sentenza 238/1996 con cui si è chiarito che nel caso di pratiche mediche, anche non necessariamente lesive dell’integrità psico-fisica, e che ciò non di meno comportano una invasione della sfera corporea della persona, come per esempio il prelievo ematico forzoso, è operante “la garanzia della riserva – assoluta – di legge, che implica l’esigenza di tipizzazione dei “casi e modi”, in cui la libertà personale può essere legittimamente compressa e ristretta”.

In secondo luogo: l’eventuale normativa che rendesse obbligatorio il vaccino anti-Covid dovrebbe altresì prevedere un congruo ed equo indennizzo per quegli eventuali casi di reazioni negative, poche o molte che siano, ma in grado di compromettere in maniera parziale o totale l’integrità psicofisica di chi dovesse incorrervi, specialmente alla luce della suddetta mancanza di dati sugli effetti collaterali di lungo periodo, e non soltanto in ossequio al tenore letterale dell’articolo 1 della legge 210/1992, ma anche in ossequio alla consolidata e costante giurisprudenza della Corte Costituzionale sul punto (Corte Costituzionale, 307/1990; Corte Costituzionale, 107/2012; Corte Costituzionale, 268/2017; Corte Costituzionale, 137/2019).

Non a caso, proprio con la sentenza 5/2018 la Corte Costituzionale ha precisato che “il singolo, sottoponendosi al trattamento obbligatorio, adempie a uno dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, che hanno fondamento nell’articolo 2 della Costituzione. L’intervento pubblico non è unidirezionale, ma bidirezionale e reciproco: si esprime non solo nel senso della solidarietà della collettività verso il singolo, ma anche in quello del singolo verso la collettività; è per questa stessa ragione che, quando il singolo subisce un pregiudizio a causa di un trattamento previsto nell’interesse della collettività, quest’ultima si fa carico dell’onere indennitario”.

In terzo luogo: la disciplina che contemplasse l’obbligo vaccinale anti-Covid e che intendesse renderlo compiutamente coercibile dovrebbe prevedere, come è ovvio, delle eventuali sanzioni. In considerazione del delicato tema riguardante la sfera di diritti fondamentalissimi e costituzionalmente rilevanti, come per l’appunto quello di libertà personale e quello alla salute, sia in senso soggettivo che collettivo, sarebbe quanto mai opportuno prestare la dovuta attenzione alla natura e alla misura delle eventuali sanzioni usando una prudenza e una perizia maggiori rispetto a tutti gli altri casi.

In questa direzione, a parere di chi scrive, non si potrebbero comprimere in funzione sanzionatoria altri diritti costituzionali come il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione, il diritto di circolazione, il diritto di professare pubblicamente e comunitariamente il proprio culto e ciò per differenti motivi:

1) dal tenore letterale dell’articolo 32 della Costituzione non si evince, neanche in seguito a una ipotetica interpretazione elastica, estensiva, sistematica, fantasiosa o di altra natura, che la tutela della salute – anche quella collettiva – possa essere resa coercibile comprimendo altri diritti costituzionali, come per esempio avviene con il diritto di proprietà o altri analoghi diritti “strumentali”;

2) i suddetti diritti costituzionali, proprio in quanto tali, non sono subordinati o subordinabili al diritto alla salute, ma godono del medesimo “grado gerarchico” e assiologico di quest’ultimo, così che una eventuale compressione dei primi a tutela del secondo sarebbe una operazione del tutto poco giuridica e tanto arbitraria quanto quella ipoteticamente inversa di compressione del secondo a vantaggio dei primi;

3) se i diritti costituzionali suddetti sono, come in realtà sono, diritti fondamentali, cioè pre-ordinamentali, che la Repubblica si limita a riconoscere, secondo il dettato letterale della Carta costituzionale, essi non sono nella mera disponibilità del legislatore che può utilizzarli a propria discrezione – anche se emergenzialmente motivata – per rendere coercibili altri diritti costituzionali.

La sanzione, infatti, deve sempre essere proporzionata e rispettosa della dignità della persona (articolo 27 della Costituzione), e questa dignità sarebbe lesa se si prevedessero soppressioni dei diritti fondamentali come, per esempio, quello al lavoro o quello di circolazione.

Si potrebbero, del resto, prevedere anche sanzioni di carattere positivo che eviterebbero di violare i diritti fondamentali dei trasgressori, come somme di danaro per i più giovani, o giorni di ferie retribuiti, o sgravi fiscali o sistemi di precedenza negli uffici e nel disbrigo delle pratiche amministrative non essenziali (cioè non strettamente inerenti la persona).

Infine: come ha precisato il Comitato Nazionale per la Bioetica, l’eventuale obbligo vaccinale anti-Covid non può essere previsto a tempo indeterminato, ma essendo giustificato dalla dimensione emergenziale dovrebbe venir meno quanto prima, cioè al calar del livello di gravità dell’emergenza. Se lo Stato, dunque, intende obbligare i cittadini alla vaccinazione dovrà farsi carico della tutela dei loro diritti assumendosi le conseguenti responsabilità di carattere economico e giuridico, perché solo così l’obbligo potrà ritenersi giuridicamente legittimo e non arbitrariamente (bio)politico.

Aggiornato il 07 settembre 2021 alle ore 09:35