La lezione afghana

Potevamo non andare? Non dovevamo andare, rispondono in coro i variegati “odiatori della guerra”, pacifisti inguaribilmente affetti da pregiudizio antiamericano. Dunque, non dovevamo andare a Kabul, dove erano alloggiati e protetti gli organizzatori dell’11 Settembre. L’America, attaccata in casa, chiedeva solidarietà e aiuto. Noi, suoi alleati, nel bisogno avremmo dovuto voltarci dall’altra parte e rispondere: “Affari vostri”.

Ma tutto questo riguarda il passato. Vent’anni dopo, con il senno del poi, ci diciamo ad alta voce: “Fu un errore, perché la democrazia non è esportabile”. Certo, la democrazia non la puoi esportare come un’automobile, chiavi in mano. Neppure il terrorismo sarebbe esportabile. Eppure i terroristi ci riescono benissimo. Non importano democrazia; esportano terrore. Cosa dovremmo fare, porgere l’altra guancia? Sennonché il volto ha due guance e i terroristi ce l’hanno già sfregiate ambedue.

Anch’io sono convinto che la democrazia e la libertà non si possono portare a chi non sa apprezzarle. Ma il volerlo fare, l’idea in sé ha un che di generoso, un afflato altruistico. L’errore sta, è stato, nell’insistervi, nell’illusione che si possa fare costi quel che costi, a prescindere dalle condizioni date o maturate. Aiutare un popolo che vuole nel profondo essere aiutato ad uscire dal bozzolo illiberale in cui le storture degli eventi l’hanno imprigionato costituisce un merito, non un demerito o una prevaricazione. Lo insegna la storia. Oppure abbiamo dimenticato chi ci esportò la democrazia mentre gemevamo sotto il tallone nazifascista?

Noi, gli Alleati, l’Occidente politico, non abbiamo sbagliato ad intervenire in Afghanistan per punire severamente i tagliagole che lo infestano tramando contro di noi. Noi abbiamo sbagliato a coltivare quella illusione, a non avvederci che solo una piccola minoranza voleva davvero “vivere all’Occidentale”, mentre una cerchia più ampia fingeva e mentiva ingolosita dai soldi e dal potere che l’Alleanza ciecamente distribuiva.

I media ingigantiscono la disfatta, come se avessimo perso la Terza guerra mondiale. Ma la verità è che non la sconfitta deve bruciare, ma la mancata determinazione a combattere fino in fondo e a fare ciò che era necessario: prevalere presto e bene. Quando un’armata in terra d’occupazione pretende di vincere con il fucile al piede e il lecca lecca in mano per i mocciosi, fa la fine che abbiamo fatto, a scorno di combattenti con mezzi illimitati e a prezzo di migliaia di morti. Se l’Occidente libero avrà appreso la lezione, non tutto andrà perduto per sempre.

Aggiornato il 23 agosto 2021 alle ore 09:27