“Il Green pass è una misura con i quali i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose”: con queste parole il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha pubblicamente giustificato l’emanazione del Green pass.
Sebbene già da decenni Hannah Arendt abbia precisato nelle sue riflessioni sui rapporti tra verità e politica che “le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista”, si può ritenere l’affermazione del capo del Governo come non rispondente a realtà, poiché il Green pass è scientificamente e giuridicamente infondato.
Sotto il primo profilo, infatti, non soltanto la realtà sta dimostrando, come nel caso olandese, o come nel caso del Vespucci, o come nel caso della docente di Milano, che il vaccino non esclude né il contagio, né, addirittura, il ri-contagio, semmai limita la sintomaticità, le complicanze e la mortalità da Covid, ma per di più che proprio scientificamente non c’è alcuna certezza che il vaccino escluda in modo categorico e totale la contagiosità, specialmente in relazione alla rampante variante Delta.
In questa direzione, oltre la cronaca riportata dal Wall Street Journal su ciò che sta accadendo in Israele in cui il 60 per cento dei nuovi ospedalizzati ha già effettuato la doppia dose vaccinale, si deve ricordare il punto numero 11 del documento dell’Aifa in cui si chiarisce che la questione è ancora in fase di studio e che si possa parlare soltanto di plausibilità e non di certezza in merito ai rapporti tra vaccino ed esclusione del contagio.
Il Green pass, dunque, da un punto di vista scientifico non fornisce alcuna garanzia di ritrovarsi tra persone non contagiose, poiché la cronaca, la scienza e, soprattutto, la realtà non hanno ancora fornito tali garanzie. Ciò che ha affermato il Presidente del Consiglio, dunque, non è rispondente alla realtà attuale. Sotto il profilo giuridico, inoltre, non si possono privare dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti alcuni soggetti per tutelare quelli degli altri.
Delle due l’una: o i diritti fondamentali sono tali, e lo sono sempre e per tutti, cioè sostanzialmente pre-ordinamentali (tanto che la Carta costituzionale utilizza il verbo “riconoscere” e non “costituire”), pre-costituzionali, ultra-statali, sovra-politici, meta-normativi, poiché ancorati e ancorabili alla struttura ultima dell’essere umano, ovvero alla sua umanità, essendo cioè il riflesso giuridico della sua dimensione ontologica, oppure non lo sono e quindi diventano manipolabili o eliminabili in base alle circostanze anche se emergenzialmente giustificate.
Per quanto sia vero che la stessa Costituzione consenta delle limitazioni, per esempio per la tutela della pubblica incolumità, è anche altrettanto vero che ammettere le compressioni non significa ammettere anche le eventuali soppressioni, come parrebbe fare l’introduzione del Green pass che esclude senza limiti dalle attività lavorative o ricreative chi fosse sprovvisto di copertura vaccinale, peraltro in un contesto normativo quale è quello attuale che non prevede l’obbligo vaccinale anti-Covid. Il rigore sul punto, infatti, data la particolare importanza e sensibilità della materia, dovrebbe essere totale e inderogabile, e soprattutto – almeno per il Green pass – scientificamente supportato, cosa che, come già visto, non è per nulla.
Ancora sotto il profilo giuridico: occorre precisare che non esiste una gerarchia di diritti fondamentali in base alla quale si possa ritenere che alcuno di essi sia sovraordinato rispetto ad altri, per cui il diritto alla salute è tanto fondamentale quanto quello al lavoro, quello di circolazione lo è tanto quanto quello di professare liberamente il proprio culto, quello di espressione del pensiero lo è tanto quanto quello di insegnamento o istruzione. Se così non fosse si dovrebbe dimostrare tale presunta gerarchia, i criteri logico-giuridici utilizzati per la sua ordinazione e la legittimazione di chi avesse compiuto una tale gerarchizzazione. Mettere in scontro i diritti fondamentali, come fossero cavalieri in giostra l’un contro l’altro armati, significa disconoscere la natura degli stessi e della stessa dimensione assiologica del diritto in quanto tale.
Ad ogni buon conto, proprio perché il Green pass agisce su libertà e diritti fondamentali, si dovrebbe prevedere un limite temporale breve e certo che richiami la presenza confortante dello Stato di diritto all’orizzonte di tutta questa vicenda, proprio perché la compressione, o perfino la soppressione, delle libertà dei singoli e dei gruppi a tempo indeterminato e indeterminabile è più confacente alla natura dello Stato totalitario.
Appare, dunque, alquanto evidente l’infondatezza scientifica e giuridica di un provvedimento come il Green pass che non soltanto non fornisce alcuna garanzia sull’assenza di contagio, ma solleva profondissime inquietudini, soprattutto per quei giuristi (la minoranza purtroppo) che non sonnecchiano pigri e arresi all’ombra della forma della legge, agitati sempre e incessantemente dall’ardore della libertà e della giustizia che invece sono, e in ogni circostanza dovrebbero essere, la sostanza vivificante e palpitante del diritto e dello Stato di diritto.
Aggiornato il 28 luglio 2021 alle ore 10:29