Prescrizione e giustizia: in alto gli scudi

In alto gli scudi per proteggere la riforma del processo penale proposta dalla ministra Marta Cartabia e approvata dal Consiglio dei ministri, all’unanimità, lo scorso 8 luglio. Il Movimento 5 Stelle, dopo il voto favorevole dei suoi ministri, ha presentato in Parlamento oltre 900 emendamenti col dichiarato intento di bloccarla e anche il Partito Democratico ha aperto la porta a modifiche e ulteriori mediazioni.

Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Coraggio Italia hanno fatto muro contro la rinnovata deriva giustizialista. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per ora tace.

È possibile che alla fine, per superare l’impasse, qualche compromesso salti fuori. Oggi, qui, però, non si vogliono fare previsioni, piuttosto si vuole dare una rappresentazione il più possibile fedele dei tempi della prescrizione per come riscritti da Alfonso Bonafede nel 2019, e vedere se e come la “riforma Cartabia” incida su di essi, così che ogni lettore si possa formare un libero convincimento, informato e sperabilmente preciso.

Per l’omicidio volontario, la strage, per il reato di diffusione di epidemia e per tutti quelli puniti con l’ergastolo, la prescrizione non opera mai. Per il reato di inquinamento ambientale, la prescrizione è di 53 anni; per la violenza sessuale, di 33; per l’omicidio stradale di 48 anni; per disastro ambientale, di 40; per corruzione in atti giudiziari, di 33 e per corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, di 18; per il reato di maltrattamenti familiari, seguiti da morte, la prescrizione è di 63 anni, così come per i reati di pedofilia e di sequestro di persona; per quello di traffico di stupefacenti, è di 43 e per il reato di immigrazione clandestina, di 33; per scambio elettorale politico-mafioso è di 27, per associazione mafiosa, di 33 anni.

Il principale reato – omicidio plurimo – collegato al disastro del Ponte Morandi, sul quale hanno speculato impropriamente Giuseppe Conte e il Movimento, ha un termine di prescrizione di 19 anni, con scadenza nel 2037 per giungere alla sentenza di primo grado.

Si potrebbe continuare, ma i termini fin qui richiamati sono sufficienti per capire la profondità dell’abisso di inciviltà nel quale è precipitato il sistema negli ultimi anni. E sono pure sufficienti per comprendere come il vento populista della “colpevolezza a vita” abbia finito per mettere sotto i piedi libertà e dignità degli indagati, in spregio a tutti i principi di diritto costituzionale nazionale e internazionale. Ma non solo a questi, ma anche e principalmente in spregio alla cultura secolare del nostro Paese, che nelle opere del Granduca Leopoldo di Toscana e di Cesare Beccaria trova alcune delle sue radici più sane, luminose e profonde.

La riforma Cartabia, poiché già frutto di estenuanti compromessi, non incide su nessun termine prescrizionale. È infatti una “riforma al ribasso”, come già scritto su queste colonne. Essa si limita a stabilire termini valevoli solo dopo il primo grado e dunque per i processi d’appello e davanti alla Corte di cassazione: i primi si dovranno concludere in due o tre anni, ma di fatto, per un gioco di tempi morti, in quasi quattro; il processo di Cassazione, in un anno o anno e mezzo, ma di fatto in due.

Dunque, lo scandalo della riforma Cartabia urlato da grillini e affini consisterebbe in questo: prevedere la chiusura dei gradi di Appello e di Cassazione in cinque o sei anni. Questo sarebbe lo scandalo della riforma.

Come cittadini e non come sudditi, è chiedere troppo che una sentenza di primo grado sia confermata o riformata in questi tempi, dopo che, in ipotesi, sono già trascorsi 10, 20 o 30 anni dal reato? È un attentato al sistema democratico, questo? È un lasciapassare per mafiosi e delinquenti incalliti?

Aggiornato il 23 luglio 2021 alle ore 09:48