Rilevazioni Invalsi: viva la “squola”

Un accorato appello ai nostri politici: per favore, piantatela con la storiella che siamo i migliori soltanto perché un gruppetto di bravi calciatori ha vinto il Campionato europeo di football e un giovanotto ben piantato se l’è cavata con la racchetta sull’erba di Wimbledon. Non siamo i migliori. A dirla tutta, siamo messi male. Lo eravamo da tempo, poi è arrivata la pandemia a completare un quadro che è un pianto.

Ci piacciono le classifiche? Allora si compulsino quelle rese pubbliche dal report dell’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) che rileva gli apprendimenti nelle classi II e V primaria, nella classe III della scuola secondaria di primo grado e dell’ultima classe della scuola secondaria di secondo grado nell’anno scolastico 2020-2021: un disastro. Altro che intonare l’inno nazionale! Sarebbe più appropriato un De profundis. Dopo mesi di demagogia sulle virtù pedagogiche della Didattica a distanza (Dad), fomentata da ben individuate forze politiche con il Movimento Cinque Stelle in prima fila, scopriamo la cruda verità: aver affrontato la pandemia tenendo a casa i nostri giovani per quasi due anni nell’illusione che il collegamento telematico da remoto potesse supplire all’efficacia dell’apprendimento in presenza è stata una follia. La qualità dell’offerta educativa è crollata e il divario tra Nord e Sud, sul fronte della formazione e del trasferimento delle conoscenze, si è esteso a dismisura. Non sono opinioni, ma fatti. Drammaticamente suffragati dai risultati dei test di valutazione degli studenti effettuati dall’Invalsi.

Le prove hanno coinvolto oltre 1.100.000 allievi della scuola primaria (classe II e classe V), circa 530mila studenti della scuola secondaria di primo grado (classe III) e circa 475mila studenti dell’ultima classe della scuola secondaria di secondo grado. Comparati a quelli del 2019 gli unici dati minimamente confortanti hanno riguardato la scuola primaria dove non sono state riscontrate differenze statistiche apprezzabili rispetto al passato. Eppure, anche nel caso dei bambini non sono mancate ombre che devono preoccupare. Nell’apprendimento della Matematica, infatti, è stato accertato “un leggero calo del risultato medio complessivo rispetto al 2019 e una piccola riduzione del numero degli allievi che raggiungono risultati buoni o molto buoni (livelli 4-5-6)” (fonte: Report Invalsi).

Un segnale allarmante: i più giovani si apprestano ad affrontare il ciclo educativo successivo con una minore preparazione. Attenzione però, si parla di livelli medi su scala nazionale. Il che ci rimanda all’abusata statistica del pollo di Trilussa. Già, perché quando si procede a valutare i dati disaggregati per aree territoriali il quadro si sgretola. Dalla rilevazione sull’apprendimento dell’Italiano, della Matematica e dell’Inglese nella scuola primaria emerge una significativa differenza di risultato tra scuole e tra classi nelle regioni meridionali. Ciò comporta, nel Mezzogiorno, un’incapacità del sistema educativo a garantire uguali opportunità a tutti. Tale inabilità è destinata a ripercuotersi con evidenti effetti negativi sui gradi scolastici superiori.

Per la III secondaria di primo grado rispetto al 2019 i risultati del 2021 di Italiano e Matematica sono più bassi, mentre quelli di Inglese (sia listening sia reading) sono stabili (fonte: Report Invalsi). Su scala nazionale, gli studenti che non raggiungono risultati adeguati rispetto agli standard fissati dal modello valutativo sono: Italiano 39 per cento (+5 punti percentuali rispetto sia al 2018 sia al 2019); Matematica 45 per cento (+5 punti percentuali rispetto al 2018 e +6 punti percentuali rispetto al 2019); Inglese-reading (A2) 24 per cento (-2 punti percentuali rispetto al 2018 e +2 punti percentuali rispetto al 2019); Inglese-listening (A2) 41 per cento (-3 punti percentuali rispetto al 2018 e +1 punto percentuale rispetto al 2019).

Le perdite maggiori si registrano tra gli studenti che vivono in contesti socio-economico-culturali disagiati e, neanche a dirlo, in regioni del Mezzogiorno, in particolare Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, dove si riscontra un cospicuo numero di allievi con livelli di risultato del tutto insufficienti. Sono numeri da apocalisse educativa. Al Sud, quindi, più della metà dei ragazzini che frequentano la scuola media non conosce l’italiano. Non l’ostrogoto o il finlandese: l’italiano! E sono gli stessi che, quando Ciro Immobile fa goal o Gigio Donnarumma para un rigore, sventolano il tricolore e intonano Fratelli d’Italia, ma nella parte del ritornello parapa-parapa-parapa-pappa-pappa, perché le parole delle prime due strofe del testo scritto da Goffredo Mameli – chi era costui? – a stento le conoscono e ancor meno le capiscono.

Il capolavoro si completa con i dati dell’ultimo anno delle superiori. Dei circa 475mila studenti dell’ultima classe della scuola secondaria di secondo grado valutati, i numeri del calo sono in linea con quelli rilevati per la III secondaria di primo grado. Ma dove la situazione si fa dramma è nella verifica dei divari territoriali tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno. Qui preferiamo tacere e lasciare che sia l’Invalsi a parlare: “In molte regioni del Mezzogiorno oltre la metà degli studenti non raggiunge nemmeno la soglia minima di competenze in Italiano. In Matematica le percentuali di studenti sotto il livello minimo di competenza crescono ancora. Per non parlare del fenomeno, endemico al Sud, della dispersione scolastica che non il Covid ma il lockdown ha irrimediabilmente aggravato.

Al dato consolidato della fuga dalla scuola, quest’anno si è aggiunta una nuova forma dispersione che gli esperti definiscono “implicita”. È il caso di giovani i quali, pur avendo formalmente conseguito un diploma, nella sostanza hanno acquisito competenze di base attese al massimo al termine del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado, quando non addirittura alla fine del primo ciclo d’istruzione. Le prove Invalsi dicono che ci sono in giro giovani con un “pezzo di carta” in tasca, in teoria pronti a entrare nel mondo del lavoro o a proseguire negli studi universitari, che ne sanno quanto un ragazzino di terza media. Penserete si tratti di qualche irredimibile testone. Nient’affatto. Nella condizione di dispersione implicita si trova il 9,5 per cento della popolazione scolastica che, al netto del pollo di Trilussa, nelle regioni del Mezzogiorno sfora le due cifre: (Calabria 22,4 per cento, Campania 20,1 per cento, Sicilia 16,5 per cento, Puglia 16,2 per cento, Sardegna 15,2 per cento, Basilicata 10,8 per cento, Abruzzo 10,2 per cento). E pensare che dei politici scriteriati si stanno scannando per approvare in Parlamento il Ddl Zan.

La sinistra dice di preoccuparsi di dare a tutti pari diritti. Cominciassero allora dal diritto allo studio affrontando con proposte di riforma serie l’emergenza educativa che resta cosa più seria del farneticare sulle teorie gender fluid. Il futuro di una nazione si costruisce sull’istruzione e sulla formazione culturale delle giovani generazioni. E i numeri dell’Invalsi sapete cosa dicono? Che non c’è futuro per l’Italia se non si cambia rotta nelle politiche educative. D’altro canto, la prospettiva è poco incoraggiante: i pochi giovani che eccellono, provenendo dalle classi sociali medio-alte, avranno la possibilità di andarsene all’estero a completare gli studi e a mettere le competenze acquisite a disposizione delle economie e del Welfare di altri Stati.

La massa, quella che è arrivata al diploma senza conoscere l’Italiano, resterà qui a ingrossare le fila dei disoccupati perché non avrà né arte né parte, né skills per reggere l’impatto con il mondo del lavoro e della produzione. E chi la tirerà la “carretta Italia” se non ci saranno abbastanza giovani in possesso delle competenze necessarie per farlo? Tranquilli! Abbiamo la soluzione: reddito di cittadinanza per tutti. Parola di Luigi Di Maio e dell’allegra compagnia grillina. Che poi sarebbero i maestri del problem solving: quelli che, approdati al Governo del Paese, hanno sconfitto la povertà. E la decenza.

Aggiornato il 19 luglio 2021 alle ore 09:58