Rinvio a giudizio, la legge e il pericolo degli aggettivi

Ho sempre pensato – e continuerò a credere – che l’impiego di aggettivi qualificativi in un testo di legge sia sconsigliabile, siccome potenzialmente idoneo a incidere sulla corretta definizione dei concetti utilizzati. Diversamente da quando accade per i sostantivi, ontologicamente neutri, gli aggettivi innestano sui primi, non sempre opportunamente, una valutazione che può alterarne il significato.

Il testo riprodotto in calce è un esempio dei rischi di cui parlo. Probabilmente ispirandosi alla regola di giudizio prevista per l’affermazione di responsabilità all’esito del processo e – altrettanto probabilmente – perseguendo lo scopo di affermare un principio di coerenza sistematica, gli autori del progetto di riforma hanno inteso dettare una sorta di linea guida valida per chi sollecita e per chi dispone il rinvio a giudizio dell’imputato; hanno introdotto il criterio della ragionevolezza della probabilità di condanna, in altri termini. Penso si tratti di un errore, quantomeno per due ordini di ragioni.

In primo luogo, probabilità e dubbio (che si vorrebbero connotati da ragionevolezza) non soltanto non sono simmetrici, ma esprimono concetti neppure comparabili: prognosi nel primo caso, diagnosi, invece, nel secondo. La ragionevolezza della probabilità afferisce ad una ipotesi, mentre quella del dubbio investe la consistenza di una confutazione.

In secondo luogo, il progetto di riforma sposta in avanti (anticipa, in verità), una valutazione complessa, imponendola in una fase nella quale il quadro di fatto della valutazione medesima è del tutto incompleto, causa la mancanza degli apporti difensivi e del confronto in contraddittorio.

Il dubbio ragionevole è il risultato di un percorso valutativo compiuto sulla completezza degli elementi da giudicare; la probabilità ragionevole, al contrario, è una prospettiva sulla ipotesi di fondatezza del contributo di una sola parte del processo.

Il rischio, più che concreto, è che la nuova norma (che equipara le valutazioni del pm e del gip) possa incidere, oltre che sulla regola di giudizio finale (non a caso, monopolio del Giudice), anche sullo svolgimento del dibattimento, a cominciare dalla ammissione delle prove. Il pregiudizio in un aggettivo inutile, addirittura pleonastico. E, com’è noto, il pleonasmo normativo è sempre pericoloso.

Aggiornato il 13 luglio 2021 alle ore 18:13