Tutti, ogni anno, dovrebbero celebrare il 4 luglio

Ogni anno negli Stati Uniti, il 4 luglio, si commemora la Dichiarazione di Indipendenza. Nel 1776 i Fondatori di questa nazione iniziarono una guerra per l’indipendenza dal Governo della Gran Bretagna. Il conflitto iniziò per una disputa sulla tassazione di cui i coloni volevano il controllo attraverso le loro legislature e assemblee locali e non essere sottomessi all’imposizione fiscale della madrepatria. In quanto non rappresentati nel Parlamento britannico, tutte le tasse imposte erano incostituzionali. Fu George Washington, diventato poi primo presidente degli Stati Uniti, a guidare l’esercito continentale alla vittoria nella guerra rivoluzionaria che assicurò quelle libertà che la maggior parte degli americani oggi dà per scontate.

La “Dichiarazione” fu un atto non solo rivoluzionario ma innovativo: a differenza dei francesi, che distrussero la loro monarchia, i coloni americani se ne separarono abbracciando i diritti “inalienabili”. Essa, pertanto, rappresenta il primo documento politico della Storia a sancire che i diritti delle persone come libertà di parola, libertà di associazione, libero esercizio o meno della religione, autodifesa, privacy, proprietà – per citarne alcuni – non sono affatto una concessione dei governi ma provengono dal Creatore o, per chi non è credente, dall’esercizio della Ragione. Tali diritti naturali, assoluti, sono inalienabili e in quanto tali nessuno ha il diritto di eliminarli. Questi principi, che hanno segnato un punto di svolta nell’umanità, andrebbero celebrati il quattro luglio di ogni anno non solo dagli americani ma da tutti coloro che aspirano a una vera libertà.

L’idea che ogni essere umano possieda diritti naturali intrinseci in quanto persona non era una tesi accademica. Come intuì Thomas Jefferson, principale redattore della Dichiarazione e in seguito terzo presidente degli Stati Uniti, ha conseguenze enormi nella vita reale. Tali effetti si manifestano sempre quando i governi presumono di agire nell’interesse collettivo. Troppi ancora continuano a credere nella menzogna che i governi ne siano capaci senza compromettere libertà, sicurezza e prosperità. Pertanto, la conservazione della libertà è rimasta una sfida senza fine che sperimentiamo ogni volta che i governi, approfittando di emergenze, annullano i diritti individuali con agende politiche totalitarie. I governi mantengono la rappresentatività solo col rispetto dell’autonomia individuale, condizione essenziale per lo sviluppo di una società prospera. Il tutto collassa non appena il concetto di individualità viene soffocato da scopi collettivi fissati da una direzione centralizzata e coercitiva. L’essenza della civiltà occidentale è il prodotto del pensiero critico e dell’azione individuale, non della mentalità di massa manipolata dalla propaganda dei governi.

Lo slogan politico “Nessuna tassazione senza rappresentanza” esprimeva la rivendicazione principale della Rivoluzione americana contro la Gran Bretagna. Ma Thomas Jefferson lo applicò anche al debito pubblico che doveva essere estinto dalla stessa generazione che lo avesse contratto, altrimenti sarebbe stato equivalente a una tassazione senza rappresentanza, schiavizzando le generazioni successive. Fu profetico perché, oggi e dappertutto, essendo tassati per i debiti assunti da generazioni precedenti e per sostenere il loro continuo rinnovo, si viene confiscati di gran parte di ciò che si produce.

Noi il popolo” (We the people), il preambolo della Costituzione americana redatta dieci anni dopo, sta a significare che non si può perseguire la sicurezza e la felicità personali quando si è sottomessi allo Stato e si diventa schiavi economici per sostenerlo. Né la civiltà è stata creata per mettere le persone al suo servizio. Questo è il motivo per cui Jefferson proibì le imposte dirette che i socialisti, nell’era nascente del marxismo, abbracciarono all’inizio del XX secolo. Jefferson aveva compreso perfettamente che una volta creata l’imposta sul reddito ogni individuo sarebbe stato perseguitato e costretto a rendere conto allo Stato di ciò che possedeva e di ciò che faceva. Così, a partire dal Novecento, si sono fatte leggi per rimuovere costantemente le libertà dei cittadini, perché i governi presumono che tutti stiano nascondendo denaro.

Ma la tassazione odierna è senza rappresentanza perché i governi in carica non rappresentano il popolo ma solo i loro interessi. Sono forse al servizio del popolo? Da nessuna parte il Governo serve il popolo, il suo fine è sempre lo stesso: limitare l’individuo, addomesticarlo, subordinarlo, sottometterlo e dissolverlo nella collettività. Da nessuna parte le persone contano perché i politici sono diventati burocrati di carriera, esentati dalla maggior parte delle leggi che infliggono al resto dei cittadini, trasformati in proprietà dello Stato per essere trattati come bestiame e tassati per sostenere il costo crescente di chi non fa mai vere riforme, non risolve mai alcun problema ma è sempre alla ricerca di nuovi modi per ottenere di più per pagarsi stipendi e pensioni.

Ma ogni volta che un Governo si rivolge contro la sua stessa gente sottraendole sempre di più per sostentare la propria vita, la fine non è mai lontana. E questo è il motivo per cui tutte le Repubbliche, guidate da politici di carriera, si sono trasformate, a partire da quella di Roma antica, in oligarchie e, in ultima analisi, in governi dittatoriali che fingono di sostenere la filosofia morale del bene collettivo.

Non bisogna mai dare per scontata la libertà e oggi che è sotto attacco in tutto l’Occidente dobbiamo ricordarci che gli scopi della Rivoluzione americana furono la sua difesa e la formazione di un Governo onesto. Oggi, per ottenere questi due scopi, basterebbe una rivoluzione nel nostro modo di pensare e agire.

Aggiornato il 08 luglio 2021 alle ore 09:03