Il silenzio senza Bonafede

Che fosse il peggiore tra i ministri della Storia repubblicana – e anche preunitaria – lo sapevamo già. Neppure c’è da discutere sulla responsabilità politica dei fatti emersi dall’indagine sulle violenze in danno dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Lui era il ministro. A lui spetta il conto. Intollerabile, inoltre, il suo silenzio, frutto – verosimilmente – di un pregiudizio ideologico (chi sta in galera qualcosa avrà pur fatto) non disgiunto da una debolezza intellettuale degna di nota. Tutto questo non basta ancora, però.

Tutto questo – e non è poca cosa – non spiega affatto perché le cose sono accadute, le ragioni di un disagio profondo che spinge uomini a odiare altri uomini, privati della libertà, fino al punto di torturarli, prenderli a manganellate, umiliarli. Dovremmo chiederci che cosa abbia spinto alla violenza delle persone preposte alla custodia, pubblici ufficiali che la sera, terminato il turno, vanno a casa, magari ad educare dei bambini. Le cose accadono quando le circostanze le propiziano.

Alfonso Bonafede, meschinello, non ce l’avrebbe fatta neanche mettendocela tutta. Ricordate Marco Travaglio che mima i polsi ammanettati? Ricordate il “vaffa” assurto a leitmotiv delle masse adoranti? Ricordate le urla di chi inneggiava all’honestà (con 4 “h”)?

Le violenze perpetrate derivano anche da questo: da un clima di odio e di intolleranza verso chi ha violato o è accusato di avere infranto il Codice penale. Quei misfatti sono la tempesta che raccogliamo per avere seminato il vento dell’intransigenza. Alfonso Bonafede è uno personaggio di terza fila, accodatosi ai seminatori di odio. Non è stato in grado neppure di comprendere che nel pianeta carcere il malessere di uno è il malessere di tutti e che, quando c’è malessere, esplode la violenza.

Ecco dove siamo arrivati. Abbiamo bisogno di Misericordia, non di odio e neppure di vendetta.

Aggiornato il 02 luglio 2021 alle ore 10:59