Il caso Cucchi della Polizia penitenziaria

I video e i frame pubblicati sul sito internet di “Domani” ci consegnano la solita immagine di un Paese ormai divaricato dallo Stato del diritto. Nel senso che lo Stato di diritto sta da una parte, il nostro Paese da quella opposta.

Quel che è successo nell’aprile 2020 con le rivolte carcerarie causate dal panico Covid – e magari fomentate almeno in parte da qualche esponente della criminalità organizzata – grida vendetta o almeno giustizia. Quattordici persone morirono nelle carceri di mezza Italia e solo dopo quasi un anno e mezzo la magistratura si è messa in moto. Prima al Governo c’era Giuseppe Conte e il garantismo era un optional mentre la giustizia era in mano all’allora ministro Alfonso Bonafede, il che è tutto dire.

Adesso queste immagini delle videocamere di sorveglianza del carcere di Santa Maria Capua Vetere rischiano di disegnare un quadro disonorevole e vergognoso per tutti gli agenti coinvolti, compresi quelli che sapevano e hanno insabbiato il tutto, cercando di fare passare quei pestaggi e i morti che ci sono scappati come una sorta di incidente di percorso. Verrà fuori che non è vero al cento per cento che tutti e quattordici i detenuti sono morti di overdose come hanno detto in un primo momento.

E questa storia inevitabilmente si trasformerà in una sorta di “caso Cucchi” della Polizia penitenziaria italiana. Cosa che dovrebbe suggerire a un politico ormai accorto come Matteo Salvini, per differenziarsi dal becerismo di repertorio che lo contraddistingueva e che adesso è stato ereditato da un’ala dura e pura di Fratelli d’Italia, di essere molto prudente nelle manifestazioni di solidarietà agli indagati. Che – per carità – sono tutti innocenti fino a sentenza in giudicato, e con la magistratura italiana di questi tempi non sono da escludere sviste o errori di ogni tipo, ma che, nel caso delle persone riconoscibili nei video senza possibilità di sbagliarsi con altri agenti, sono individui che hanno disonorato la divisa e forse anche il genere umano. Non si può essere garantisti solo con i propri amici, con i politici della propria parte, con i figli dei propri capi. Sennò si fa la fine dei Cinque Stelle.

C’è da chiedersi invece cosa sia ormai diventata l’Italia di oggi, con la sua “giustizia” e il suo “cuore di tenebra” carcerario. A forza di sostanzialismo, cioè di fine che giustifica i mezzi, la dottrina giuridica dei Piercamillo Davigo e dei Marco Travaglio, a forza di irridere chi invoca lo Stato di diritto e il rispetto delle regole pure per i criminali ci stiamo riducendo a diventare un Paese autoritario come la Cina di Xi Jinping o la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Se siamo diversi – come lo siamo – dobbiamo, senza inutili inginocchiamenti di facciata, fare giustizia e verità senza riguardi per nessuno. E cerchiamo di evitare coperture e omissioni che nel caso della morte di Stefano Cucchi sono arrivate a infangare i vertici dell’Arma dei carabinieri.

La Polizia penitenziaria deve avere il coraggio e, se vogliamo, anche la furbizia, di non fare la stessa fine. Perché poi quando il fuoco divampa non si salva più nessuno.

Aggiornato il 02 luglio 2021 alle ore 09:53