Da San Pietro un fulmine sul Ddl Zan

Sul Disegno di legge “Zan”, bandiera ideologica del progressismo oltranzista, la sinistra ha fatto muro. Per il cattolico Enrico Letta la nuova normativa volta a reprimere l’omotransfobia, e con essa la libertà di pensiero degli italiani, si deve approvare così com’è, senza modificazioni che ne pregiudichino un rapido iter parlamentare. Oggi, però, sarebbe meglio dire che “si doveva approvare” perché sulla discussione avviata in Senato ma dilagata nel Paese è piombato un meteorite che rischia di condannare il “Ddl Zan” alla sparizione. Come è capitato ai dinosauri del Cretaceo-Paleocene. Il meteorite di cui parliamo non è piovuto dal cielo (o forse sì?) ma è stato scagliato da una rampa di lancio posizionata in Vaticano.

Siamo onesti: chi se lo sarebbe aspettato che proprio la Chiesa, che negli ultimi tempi si è messa a gareggiare con i più accaniti picconatori dei valori dell’Occidente cristiano, prendesse posizione contro il Disegno di legge dell’onorevole Alessandro Zan? Lo scorso 17 giugno monsignor Paul Richard Gallagher, il ministro degli Esteri della Santa Sede, ha notificato all’ambasciata italiana presso il Vaticano una “nota verbale” con la quale, in merito ai contenuti della proposta legislativa in esame presso il Senato, si manifestano preoccupazioni per la riduzione delle libertà garantite alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato.

In particolare, gli articoli 4 e 7 della proposta di Legge “Zan” porrebbero a rischio la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale nonché la libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Non era mai accaduto che la Santa Sede, sostituendosi alla Conferenza episcopale italiana (Cei) nel rapporto con le istituzioni pubbliche del nostro Paese, si muovesse con un passo ufficiale di tale gravità. Tuttavia, dietro la formale contestazione di violazione di un Trattato internazionale (il Concordato), si coglie la sostanza dell’iniziativa: la difesa della libertà religiosa.

Nei Sacri palazzi hanno capito ciò che su questo giornale sosteniamo da tempo: il pericolo per la democrazia deriva dall’idea insana di usare la repressione e l’intolleranza allo scopo di punire non soltanto i violenti e gli intransigenti ma anche, e soprattutto, i non allineati ai diktat del pensiero unico sulla costruzione relativista del gender. Qui non c’entra nulla la difesa delle persone offese o perseguitate per il proprio orientamento sessuale. La realtà è che, attraverso una legge sostenuta da un’improbabile maggioranza parlamentare, una minoranza culturale nel Paese, abilissima nella manipolazione mediatico-comunicativa, sta cercando d’imporre una trasformazione antropologico-valoriale alla società.

La “nota verbale” vaticana ricorda la favola di Hans Christian Andersen, “I vestiti nuovi dell’imperatore”. Occorreva la voce degli alti prelati che non è propriamente quella della fanciullesca innocenza per dire che Il re è nudo!”; per denunciare ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma che in troppi hanno finto di non vedere nel timore di essere messi all’indice come omofobi dal politically correct. Sotto il velo solidarista del disegno “Zan” si cela il volto mostruoso della tirannide. La presa di posizione della Chiesa deve essere stata una botta micidiale per le arroganti pretese dei “progressisti”, convinti di avere in pugno il Vaticano dopo la devastante ondata di umanitarismo da “teologia della liberazione” che l’ha investito da quando sul trono di Pietro è assiso un gesuita giunto dai confini del mondo nel cuore della cristianità a scardinare i supporti della culla della civiltà. Evidentemente qualcuno, dall’Oltretevere, ha considerato concreta la possibilità che preti come Don Calogero D’Ugo, parroco di Belmonte Mezzagno in Sicilia, possano finire nei guai con la giustizia italiana solo per aver detto durante l’omelia, a proposito del Disegno di legge Zan, “Il demonio sta lavorando molto. E non solo.

L’obbligo, previsto dall’articolo 7 punto 3 del Ddl, per il quale “in occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile per la realizzazione delle finalità di cui al comma 1. Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, numero 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre Amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, costringerebbe anche le scuole cattoliche ogni 17 maggio, Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, a dedicare dibattiti, rappresentazioni sceniche e seminari tematici all’argomento.

La immaginate una classe di bambini e bambine in una scuola di suore che nel mese mariano è costretta ad affrontare le teorie gender? Maschietti agghindati da femminucce e bambine alle prese con il Meccano e le ruspe giocattolo per apprendere fin dall’infanzia che la distinzione di genere sia frutto di stereotipi? Questa nefandezza nelle scuole pubbliche italiane è già stata consumata. Accade dal 2008, da quando a San Benedetto del Tronto un Centro ricreativo estivo per bambini dai 4 a 10 anni mise in scena, con l’organizzazione (e, si presume, i denari) del locale assessorato comunale alle Politiche sociali, una recita teatrale gay. Trama: il Principe Azzurro si fa invano corteggiare da Biancaneve e da Cenerentola optando poi per un partner maschile, non prima però di aver fatto coming out.

Sono anni che le pubbliche istituzioni finanziano, sotto l’ombrello della “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, progetti per “favorire l’empowerment delle persone Lgbt nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni”. Non hanno torto in Vaticano nel temere che adesso tocchi a preti e suore insegnare il gender in forza di un obbligo di legge. Ora, per coloro i quali siano fermamente ostili all’approvazione del Ddl Zan, la presa di posizione del Vaticano è un insperato aiuto alla causa. Ma cosa accadrà in concreto? Il problema è politico, di là dalla flebile difesa d’ufficio della laicità dello Stato, sostenuta dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, intervenuto in Senato.

Ed è tutto nel campo della sinistra dove sono attendate schiere di cattolici progressisti ai quali finora è stato evitato il fastidio di dover scegliere se ritrovare il senso ultimo dell’appartenenza alla Chiesa di Cristo o se dare un taglio all’armamentario dei dogmi, dei precetti morali, dei costumi e delle tradizioni su cui nei secoli ha poggiato la dottrina cattolica. Il “Non debemus, non possumus, non volumus” pronunciato dal Vaticano sul Ddl Zan interroga principalmente i rappresentanti del popolo. Che faranno i “compagni” del Partito Democratico che puntano a portare al più presto la discussione sul Ddl Zan in Aula al Senato? In quanti sentiranno il richiamo di Santa madre Chiesa? Torneranno sui loro passi o tireranno dritto votando in blocco l’attuale testo del Ddl Zan?

Interessante sarà verificare la posizione di quell’indistinto confusionale del fu Movimento Cinque Stelle. Che ne pensa Luigi Di Maio? E Giuseppe Conte? Lui che da studente universitario frequentava la prestigiosa “Villa Nazareth” culla della meglio gioventù papalina? Enrico Letta, dopo la dichiarazione di principio del tenore “O ddl Zan o morte!” si è prontamente dichiarato disponibile al dialogo per guardare i nodi giuridici. L’improvvisa apertura ha l’aspetto di una spericolata retromarcia in autostrada. Sarà stato un sussulto della coscienza? È riaffiorato il chierichetto che è in lui? O, più prosaicamente, s’è fatto quattro conti su chi altri degli elettori potrebbe abbandonarlo disgustato? È una curiosità che non ci appassiona. Ciò che conta è che la legge-bavaglio venga fermata e il libero diritto di parola non venga rubato agli italiani. Se dovessimo spingerci a una previsione più ottimistica non resterebbe che dire al pur simpatico Alessandro Zan e alla sua proposta: Ciao, bye-bye, au revoir, auf wiedersehen, do svidaniya, aloha. Insomma, ci siamo capiti.

Aggiornato il 25 giugno 2021 alle ore 09:24