Anm, referendum sulla giustizia e paura del giudizio del popolo

Chiariamo una cosa, una volta per tutte. Un conto è offendere un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, o per i provvedimenti assunti. Questo non è consentito e non si deve fare. È ammissibile la critica, ma non c’è spazio per lo scontro a colpi di contumelie. Altro e diverso discorso è aprire un conflitto duro, aspro, connotato se del caso anche da espressioni irriverenti con una organizzazione sindacale, la quale – surrettiziamente trincerandosi dietro l’intangibilità della toga – ritiene di avere il diritto di predicare, moralizzare, intimidire neppure troppo allusivamente.

I giudici non parlano per bocca dell’Anm (Associazione nazionale magistrati), ma con le sentenze. La promessa di ferma reazione di Anm vale esattamente quanto la minaccia di sciopero generale della Cgil. È un atto politico. Ma è un inganno, perché vuole fare credere ai cittadini che viene da Giudici, mentre viene da membri di una associazione privata che approfittano del fatto di essere magistrati.

A loro dico – oggi – quello che dissi anni fa, alla Corte d’appello di Milano, difendendo un politico (ancora oggi parlamentare) accusato di avere diffamato uno di loro per la sua attività politica: se state al di là dello scranno, avrete sempre il mio rispetto; se venite al di qua, preparatevi a subire quello che vale per chiunque decida di fare politica.

Non finisce qui. In verità, non può finire qui e così, con una polemica inutile, destinata a spegnersi al calar del sole, bruciata come si bruciano le notizie nel mondo in cui tutti hanno diritto ad un quarto d’ora di notorietà (compensato da un oblio senza fine).

Non può finire qui, perché la promessa di ferma reazione ad un referendum che potrebbe indurre il popolo sovrano ad esprimere un giudizio sull’operato dei magistrati non è riducibile allo scomposto disappunto di pseudosindacalisti d’antan, ma rappresenta una presa di posizione sulla quale discutere. Non fate i furbi, voi di Anm. Il popolo non giudicherà in merito alla qualità delle decisioni prese nelle Aule di Giustizia, ma di come vi comportate, avendo ben presente ciò che ha letto nelle intercettazioni di Luca Palamara, ciò che ha appreso sulla vicenda Eni, del modo di assegnare (spartire?) gli incarichi direttivi e via così.

Nessuno mette e metterà mai in discussione l’indipendenza dei magistrati e nessuno chiederà la gogna mediatica. Prova ne sia il fatto che la maggior parte dei magistrati italiani dorme sonni tranquilli e non si sente assediata. Piuttosto, vorremmo parlare del principio di responsabilità (universalmente accettato, ma per voi manco preso in esame), dei criteri di reclutamento e progressione in carriera, della gestione degli uffici; di un sacco di cose, insomma.

Alcuni magistrati hanno usato (impunemente e impudentemente) i media per screditare politica, impresa, cittadini, sfruttando il ruolo che rivestono. Adesso avete paura del giudizio del popolo espresso con un referendum? Chiedetevi perché siamo arrivati a questo. Lo ripeto: non fate i furbi. Non tutti ci cascano.

Cominciate a fare un serio esame di coscienza e a chiedere scusa alle migliaia di vostri colleghi che ogni giorno lavorano seriamente, senza speranza di fare carriera.

Aggiornato il 21 giugno 2021 alle ore 09:46