L’odio per l’Occidente si alimenta anche dall’amore cristiano

C’è qualcosa di profondamente progressivo, spiritualmente rivoluzionario e sublime nel cruciale imperativo cristiano: “Ama il prossimo tuo come te stesso, anche il tuo nemico”. Ma in esso c’è anche qualcosa di disumano, di innaturale, di autolesionista e di patologico. Quel principio si rivela soprattutto irrealistico. Come tutti i principi ideali indica una direzione, un dover essere. Guai a farne una norma assoluta di condotta o un obiettivo politico da realizzare magari immediatamente senza tener conto della realtà. La realtà effettuale si vendica dei principi ideali opponendo loro radicali smentite e le dure repliche dei fatti.

Quel principio è stato storicamente rivoluzionario, perché ha consentito in Occidente più che altrove un graduale, e ancora imperfetto, superamento del tribalismo primitivo che vi sopravvive nei residui del nazionalismo, del razzismo e del suprematismo. È un principio anche sublime, perché pone un ideale in pratica irraggiungibile. Ma fissandolo indica una direzione verso lalto e cioè verso il divino, se così piace. È perciò anche disumano e innaturale, perché umano e naturale è, invece, amare se stessi più degli altri e chi ci è più vicino più di chi è più lontano. È anche autolesionista, perché nella realtà che è fatta di conflitti di ogni genere, si rivela un elemento di debolezza di chi lo pratica in maniera assoluta quando questi abbia a che fare con chi quel principio non lo rispetta affatto e anzi lo disprezza come viltà, come capita il più delle volte nella vita pratica.

È anche generatore di patologie, perché molti buoni cristiani, nella foga di mostrare il loro fervore religioso con l’amare i nemici e i lontani, dimenticano spesso di dover amare anche, se non soprattutto, i propri amici e coloro che per varie ragioni sono i più vicini. Anzi se si devono amare i “nemici” è inevitabile che ci si trovi in conflitto con gli amici che non condividono quel religioso fervore amoroso e che non hanno alcuna voglia di essere sottomessi dai nemici. Quel sublime principio cozza insomma con la realtà. E rischia di provocare in chi volesse realizzarlo hic et nunc e in maniera radicale e assoluta una patologica inversione emotiva nello schema amico/nemico. Praticandolo si può finire facilmente con l’amare il nemico e combattere contro l’amico, mettendo a rischio la sua e la propria sopravvivenza e la propria salute mentale.

Ne deriva il paradosso per cui alcuni cristiani puri e duri finiscono con lamare i nemici più degli amici; e possono giungere anche ad odiare i propri amici e i “vicini” a cui non perdonano linadempienza verso i sublimi e irraggiungibili principi cristiani mentre perdonano tutto ai nemici e ai “lontani”, che si infischiano dei principi cristiani e per i quali un nemico è semplicemente un essere da distruggere senza tanti complimenti. “Altrimenti che amore sarebbe?” dicono i fondamentalisti dell’amore universale e “umanitario”.

Passando dal livello etico-religioso individuale a quello culturale e delle civiltà, si può dire che l’Occidente, con il suo universalismo liberale dei diritti umani (che altro non è che una secolarizzazione della dignità cristiana di ogni essere umano in quanto “persona”), ha posto – unica civiltà al mondo – a suo esergo e come sua massima fondamentale di principio, proprio quell’imperativo umanistico cristiano che impone di amare il prossimo, inclusi i nemici. Inclusi i nemici? Facile a dirsi, meraviglioso in linea di principio, ma impossibile a farsi nella realtà. La realtà è – purtroppo e per fortuna – costitutivamente conflittuale e se ne infischia dei principi. Essa pullula di conflitti di interesse di vario genere, materiali e culturali, individuali e collettivi, tra individui, clan, partiti, Stati, nazioni, culture e civiltà. E questi conflitti reali non sono pranzi di gala o convegni amorosi e si svolgono tra avversari e anche tra veri nemici, tra cui vigono spesso le regole: l’amico del mio nemico è mio nemico, il nemico del mio nemico è mio amico e, infine, al limite estremo, mors tua vita mea.

Sono di questo tipo anche le guerre culturali e gli scontri di civiltà. Uno scontro che oggi, dopo secoli di dominio politico, economico militare e culturale dellOccidente, si alimenta anche di uno spirito di rivalsa revanscista delle civiltà extra-occidentali contro l’Occidente. E ciò avviene proprio quando l’Occidente, dopo il suicidio dell’Europa nel ‘900 (un vero suicidio sono state infatti i totalitarismi rossi e neri e le due “guerre civili” europee), si è ritirato nei suoi confini propri e si dibatte nei rimorsi per il suo passato imperialista, colonialista, totalitario e guerrafondaio. L’Occidente è perciò oggi una vera “terra del rimorso”, della penitenza, dell’espiazione e dell’auto denigrazione. È tale proprio per la sua perfetta coscienza di essersi allontanato troppo e troppo a lungo dai suoi principi cristiani e liberali.

Le altre civiltà, pur avendo commesso analoghi crimini e misfatti, non sentono alcun rimorso e rigettano l’idea stessa del pentimento perché nessuna di esse (tranne forse quella buddista) risulta che abbia posto a sua meta ideale l’universalismo liberale o un umanesimo integrale simile a quello cristiano, come ha fatto l’Occidente. In quasi tutte le altre culture e civiltà prevale anzi un orgoglio (spesso immotivato), un sentimento suprematista, di competizione e di scontro fino alla vittoria finale e totale sull’Occidente in declino. Nello scontro di civiltà in corso da sempre – e riacutizzatosi a fine secolo scorso – è ovvio che il principio di amare il proprio nemico (culturale e non solo) giochi come un elemento di debolezza dell’Occidente, dato che il nemico culturale su quel principio ci salta su a piè pari, senza scrupoli, mentre in Occidente si vorrebbe evitare lo scontro in atto e si cerca di esorcizzarlo negandolo. E si tende a negarlo fino al punto di negare il diritto di difendersi e persino di esistere, almeno culturalmente, rinnegando la propria identità e le proprie radici culturali cristiane e liberali.

E c’è di più: l’aver posto, con quel principio dell’amore universale, troppo in alto la propria meta ideale che confligge con la realtà conflittuale, non può che intensificare il senso di colpa e il rimorso dell’Occidente nel suo complesso, generati proprio dalla inevitabile discrasia tra i comportamenti effettivi degli occidentali (individui e Stati) e i loro troppo elevati principi morali. Di questo senso di colpa e di questo rimorso diffuso di massa sono sintomi non solo quei pacifisti assoluti occidentali che negano lo scontro e ad esso preferiscono la resa, ma anche quei multiculturalisti che cercano impossibili e inauspicabili “fusioni” e “meticciamenti” culturali e giuridici con culture e ordinamenti illiberali incompatibili con le basi stesse liberali dell’Occidente. Quel senso di colpa diventa poi cupidigia di autodissoluzione quando diventa odio per la propria civiltà, volontà di distruggerne le basi: la religione cristiana, la famiglia naturale, lo Stato-nazione, la cultura classica e moderna, come avviene nella cosiddetta “cultura” della cancellazione e in generale nella nuova ideologia “rivoluzionaria” anti-occidentale del politicamente corretto.

I chierici di sinistra sono anch’essi figli fondamentalisti e assolutisti del principio cristiano dell’amore universale, che essi chiamano “inclusione universale”. Attorno a questo principio “anti-discriminatorio” hanno costruito una nuova religione civile fondamentalista basata sulla colpevolizzazione anacronistica dell’Occidente (accusato di violare i suoi stessi principi e di essere anzi portatore dei geni del Male radicale), sull’antirazzismo paranoide e sull’antifascismo archeologico (che vede razzisti e fascisti dove non ci sono e cioè nei liberal-conservatori), sulla teoria del gender che mira soprattutto alla distruzione della famiglia e a scombussolare il senso di identità personale (basata su quella sessuale, come insegna la psicanalisi), specie nei giovani e perfino nei bambini occidentali. Essi poi perseguono la distruzione dello Stato-nazione e dei diritti del cittadino, usando contro di essi i diritti dell’uomo; e in particolare usando il presunto “diritto umano universale”, attribuito cioè a ciascuno degli abitanti della terra, di stabilirsi dovunque egli desideri vivere. Ovviamente questi presunti cultori dell’amore universale, amando soprattutto “l’altro” e addirittura il nemico, finiscono con l’entrare in conflitto con i propri concittadini e persino per danneggiare i propri “amici”.

Si possono facilmente immaginare, infatti, le conseguenze di quelle follie distruttive per gli occidentali. E solo per essi, dato che fuor d’Occidente simili follie non sono nemmeno pensabili e, dove fossero espresse, sarebbero ritenute meritevoli di trattamento psichiatrico. Anche queste follie sono figlie, benché spurie, dei principi cristiani occidentali. Ne sono figlie spurie perché chi le propugna dimentica la inevitabile discrasia tra principi ideali e realtà, tra dover essere ed essere, tra aspirazioni ideali e principio di realtà. La pretesa di realizzare immediatamente e radicalmente i principi ideali è tipica del perfettismo democratico e sbocca sempre nella sanguinaria, pantoclastica e soteriologica volontà rivoluzionaria. Come una volta i comunisti teorizzavano un “paradiso in terra” e come i progressisti secolarizzano l’idea cristiana di Provvidenza, così i chierici della religione odierna del politicamente corretto non fanno che secolarizzare, chiamandolo “inclusione universale”, il principio cristiano dell’amore universale, abbracciando i propri nemici culturali.

Non dobbiamo certo per questo rinunciare ed abiurare i principi cristiani e liberali occidentali. Ma dobbiamo anzi difenderli da coloro che, come i chierici di sinistra, li assolutizzano e li radicalizzano, fingendo di non capire che si tratta di principi orientativi ideali che non possono prescindere dal principio di realtà e dalla necessità di difendersi dai nemici culturali e non. In realtà, essi usano quei principi strumentalmente per assecondare la loro passione predominante che è l’odio per l’Occidente, la sua cultura, la sua civiltà e i suoi cittadini.  Così dall’amore universale può alimentarsi l’odio dei chierici occidentali di sinistra per l’Occidente, che è anche – come non mi stancherò mai di ricordare – un odio di sé.

Aggiornato il 21 giugno 2021 alle ore 09:00