Fratellanza di Toga e di Stato

Netta è la sensazione che al sistema (giornali, magistrati, banchieri, alta dirigenza, professionisti inseriti ed impresa collusa) convenga affermare che “la malagiustizia non esiste”, che “i comitati d’affari sono leggende metropolitane”, che il potere ha come solo fine il bene dei popoli. Ma come possiamo liberare la Pubblica amministrazione da truffatori, malfattori e corrotti? Possiamo farlo ripetendoci che chi vince un concorso o amministra è sempre e comunque onesto? Quindi accettando in maniera dogmatica l’infallibilità di Pubblica amministrazione, magistratura e poteri vari? Ma in una città come Roma ed in una nazione come l’Italia è sempre stato arduo capire chi fosse nel giusto.

Nella Roma salottiera e piaciona su dieci sedicenti uomini di potere più della metà sostiene d’essere dei servizi segreti o gran maestro di mirabolanti logge massoniche: forse si è al cospetto d’imbroglioni ben vestiti ed introdotti nei giusti salotti? A Roma è davvero labile il confine tra l’imbroglio, la truffa, il raggiro, il comitato d’affari e i veri referenti del potere: spesso impalpabile, così poteri ed imbroglioni si servono vicendevolmente gli uni degli altri. A metà anni ’90 si respirava ancora forte la nostalgia della Prima Repubblica, quando nessuno mai avrebbe messo in discussione il confronto, la partecipazione, la democrazia. Ma c’era già chi, in maniera totalmente trasversale (da destra a sinistra passando dal centro) sosteneva nei “salotti buoni” che “la politica vera si fa nei comitati d’affari e che i comitati elettorali ne dovrebbero essere la diretta filiazione”. Frase che raccolse subito il disprezzo dello scrivente, se non l’odio: chi proviene dalle lotte extraparlamentari ha già criticato gli aspetti esoterici del potere degli anni ’70, quindi non si può certo accettare come miglioria democratica l’affidamento delle sorti del popolo ad un comitato d’affari.

Questo racconto è anche dedicato all’amico e collega Aldo Torchiaro (oggi condirettore de L’Argomento) che per motivi anagrafici non ha potuto vivere certi momenti storici se non attraverso buone letture. Torchiaro ha intervistato il gran maestro Stefano Bisi il primo maggio 2021 ed anche questo è un segno dei tempi: nell’età della “green economy” lavorare è sinonimo d’inquinare, l’uomo del terzo millennio dovrebbe secondo certi contemplare, ben conscio di poter contare per il necessario su una quota fissa di moneta elettronica (povertà sostenibile).

Appena ieri, per i giornali non c’era primo maggio senza interviste a lavoratori, sindacalisti e ministri del lavoro: ma oggi nell’era del “green welfare” ci vuole proprio un santo o un gran maestro per avvistare uno strapuntino di lavoro concreto. Stefano Bisi dice a Torchiaro che “Ungheria non esiste. Sembra più un comitato d’affari”. Bisi è Gran Maestro del Goi (Grande Oriente d’Italia). Torchiaro in sintonia con Bisi sostiene che “Ungheria suona come un riferimento decisamente avulso dal vocabolario iniziatico della massoneria, sempre legato ad evocazioni storiche e ai personaggi celebri affiliati”. Parole che, per chi ha qualche anno, ripescano nella memoria le interviste di noti democristiani, rilasciate a Gazzetta del Mezzogiorno, Mattino e Gazzetta del Sud all’indomani della sparizione di Mauro De Mauro. Tutti sostenevano coralmente “la mafia non esiste… è solo una invenzione dei giornalisti e dei giornali”, frase che ispirerà una celebre pellicola di Francesco Rosi.

Oggi che tutti sanno qualcosa, grazie a internet, di “poteri forti”, “poteri occulti”, “politica esoterica”… è un po’ arduo sostenere che nelle vere logge massoniche si faccia solo folclore e che ci siano solo persone animate da fratellanza. È ovvio che il gran maestro Stefano Bisi sia all’oscuro della Loggia Ungheria. “Rimango basito, perché all’improvviso tutti tirano in ballo l’obbedienza massonica – dice Bisi – ma noi non c’entriamo niente. Sul sito del Goi c’è l’elenco delle 870 logge che fanno capo a noi, non esiste alcuna loggia coperta, e nessuna che si chiami Ungheria… nel Goi non ci sono logge irregolari. Lo escludo categoricamente. Ogni persona può riunirsi insieme ad altre, al di fuori di noi, e si può dare il nome che si vuole. Siamo 23mila affiliati, tutti conosciuti localmente dai rispettivi Maestri venerabili”.

Le parole di Bisi appaiono genuine, oneste rispetto a quelle dei democristiani ai tempi della sparizione di Mauro De Mauro. Ma i massoni che operano nei comitati d’affari, e che usano il Goi per agganciare amici, non sono certo babbei a rendere pubblica la loro vera missione. È lecito credere che Bisi sia all’oscuro di tutto. Del resto, politica e religione sono custodi di verità essoteriche (rivelabili nella piazza democratica) ed esoteriche, ovvero riservate a pochissimi adepti. La massoneria, il Goi, è dopo l’inchiesta P2 una sorta di Rotary Club: si conoscono i soci e si sa tutto dei loro affari e patrimoni, ma ben sappiamo che anche nei Rotary Club insistono gruppi dediti agli affari.

“Se venissi a sapere che qualcuno fa questo tipo di affari, lo espellerei immediatamente – confessa Bisi a Torchiaro – ci sono dei fratelli Ispettori che internamente si occupano di fare queste verifiche. Dopo lo scandalo P2 abbiamo messo in atto tutta una serie di misure di verifica e di controllo”. Parole che ricordano non poco quelle espresse del monaco che amministrava il monastero benedettino a cospetto di Guglielmo de Baskerville ne “Il nome della Rosa”: Guglielmo insisteva sui sospetti d’eresia ed il monaco negava. Ma nella storia dell’avvocato Piero Amara e delle logge segrete, demoni ed eresie non c’entrano un fico secco.

Secondo i beninformati, Bisi non sarebbe a conoscenza dei suoi fratelli massoni che frequentano le organizzazioni segrete che influiscono su processi, opere pubbliche, appalti, nomine universitarie ed in enti e società, candidature in politica e Consigli d’amministrazione, concessioni di mutui e prestiti bancari. Del resto dopo lo scandalo P2 nessun frequentatore di strutture segrete, ma robustamente radicate nello Stato, riferirebbe mai d’affari al Goi. E nemmeno ai tempi della P2 erano così stolti da aprire gli affari a tutti i fratellini. Ma l’astinenza da lavoro ed affari fa davvero miracoli, così in troppi riacquistano la parola.

Per Bisi “nelle riunioni di loggia i visitatori di altre obbedienze (le altre associazioni massoniche) sono vietate. Così come sono vietate le superlogge”: ma sappiamo che questo non esclude che i fratellini frequentino anche circoli privati romani o lo stesso Rotary Club. Allora chiamiamole relazioni segrete festini d’affari? Resta il fatto che l’uomo è un animale sociale, commerciale, d’affari. E non si fa peccato a sostenere che in segreto, in piazza o in rete la gente cercherà sempre di sistemare le proprie faccende, gli affari, i guai giudiziari e lavorativi. Il problema è nei limiti etici e morali, che dovrebbero scongiurare sentenze influenzate e manipolate, aste truccate, appalti dati ai soliti amici. Certamente l’alta dirigenza di Stato s’adoprerà per lavare i panni sporchi in famiglia, ma questo Bisi lo ignora… sono tutti fratelli.

Aggiornato il 17 giugno 2021 alle ore 12:04