Il garantismo e i garantisti

Alcuni degli ultimi fatti, penalmente rilevanti, in cronaca hanno spinto degli uomini politici (e donne, ovviamente, per cui dovrei forse scrivere “esseri umani politici”, in comunione di spirito con l’onorevole Alessandro Zan) a pronunciarsi sul garantismo. Ergastolo, agli “assassini” della funivia! Ergastolo, agli “stupratori”! I crimini efferati, lo sappiamo, fanno perdere il lume della ragione anche ai mansueti. L’indignazione tende a prevalere su tutto e mette la legge sotto i piedi. Certi politici hanno bellamente dichiarato che loro erano e sono garantisti, sì, ma la violenza sessuale dei casi alla ribalta è così intollerabile da farli vacillare o, addirittura, pendere verso il giustizialismo, come pure la negligenza e l’avidità che hanno schiantato quei poveri turisti sul Mottarone. Ai veri dubbiosi del garantismo si sono aggiunti inopinatamente i falsi pentiti del giustizialismo. Nondimeno, questi e quelli per me pari sono, o perché credevano poco nel bene o perché pervicaci nel male. Al dunque, né gli uni né gli altri hanno contezza delle fondamenta di una società libera. Ne sono ai margini o contro.

Chi sprezza il garantismo, per intimo convincimento oppure occasionalmente soltanto, secondo le circostanze e il reo (il che è anche peggio), non merita considerazione perché, lo ricorda Leonardo Sciascia nella biografia di Felice Cavallaro, la democrazia non è impotente a combattere il crimine e punirne i responsabili. Non ha bisogno dei cacciatori di colpevoli in servizio permanente effettivo nell’anticamera del sospetto. La democrazia “ha anzi tra le mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge uguale per tutti, la bilancia della giustizia. Se al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle manette – come alcuni fanatici dell’antimafia in cuor loro desiderano – saremmo perduti irrimediabilmente”.

Figuriamoci se le manette stormiscono più delle foglie ad ogni sbuffo di vento. Il fanatismo è il tratto antropologico dei giustizialisti. Il vero abbandono del giustizialismo con l’abbraccio contestuale del garantismo è un fatto più unico che raro, perché implica il cambio dei connotati ontologici del converso. Questo cambiamento viene espresso al meglio dalla parola greca “metanoia”, che significa il totale capovolgimento dei principi e dei pensieri prima professati e manifestati. Pertanto, appare disgustosa la grancassa mediatica che hanno battuto per esaltare le scuse (le scuse!) di un politico, giacobino zelante, equiparandolo a Paolo sulla via di Damasco, nientemeno.

E viene da chiedersi perché la stupefacente conversione sia avvenuta a ridosso di un caso semplice e popolare, per quanto drammatico per la vittima, anziché per il caso più impopolare del secolo, nel quale l’azionista di controllo di una società controllante un’autostrada è stato impiccato simbolicamente al pilone superstite del ponte crollato. Se non temessi d’innalzarlo ad un’altezza incommensurabilmente sproporzionata, dovrei dire che l’ex rivoluzionario al pesto genovese, adesso contegnoso al ragù napoletano, fiutata la reazione termidoriana, fugge a gambe levate verso i girondini per scamparsi la ghigliottina. Lasciando da parte il maestro Beppe Grillo eccezionalmente e rabbiosamente garantista “pro domo sua”, come tacere che l’allievo in gramaglia ha schivato il caso del figlio del suo mentore? Perché non ha né gridato né scritto “sono garantista per Ciro Grillo”? E, per finire, se poi capisse d’aver sbagliato a scusarsi e, richiamato dal suo atavico giustizialismo, si pentisse delle scuse, magari in cuor suo? Del resto, la sua carriera politica è tutta un “cursus capriolarum”.

Il punto cruciale del garantismo consiste nel dubbio individuale e comunitario che impone di sospendere il giudizio personale sulla colpevolezza di un accusato e di rimetterlo non a un giudice semplicemente, singolo o collegiale, ma al vaglio critico della discussione pubblica delle ragioni dell’accusa e della difesa. Siccome dobbiamo dubitare di noi stessi, ci rimettiamo a un’istituzione giuridica, il processo, meno fragile delle nostre convinzioni soggettive. Se così è, e così dev’essere, contrapporre il garantismo al giustizialismo costituisce un ottuso paragone, utile forse a colorare la posizione politica, non a definirla.

Invece che garantisti o giustizialisti, nomi che evocano complessi concetti, pregevoli o spregevoli, tanto vale usare il classico lessico del giornalismo: colpevolisti o innocentisti. Troppo facile proclamarsi “garantisti-innocentisti” dopo la sentenza di assoluzione. Leonardo Sciascia l’ha affermato. Enzo Tortora l’ha patito. Non basta cavarsela, a cose fatte, con un “mi ero sbagliato”. Un qualsiasi politico fa danni già stando zitto. Quando sputa condanne anticipate, godendo pure sadicamente delle altrui immeritate disgrazie, rappresenta un pericolo in sé, per se stesso e per l’intera società, dove con le sue “sentenze” semina il veleno del pregiudizio, fomenta l’intolleranza, corrode la giustizia, s’impanca a dividere l’umanità in reprobi e virtuosi come un padreterno onnisciente, essendo invece un comune miserabile.

Aggiornato il 31 maggio 2021 alle ore 09:32